Zì Nennella e l’ultimo banco dell’acqua al Pendino

La storia dell'iconico personaggio napoletano

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Diverse erano le banche dell’acqua che un tempo si trovavano in giro per i quartieri di Napoli, ferme lì nei larghi e nei vicoli, per offrire un rinfrescante conforto a chi aveva bisogno di una bevanda, soprattutto nelle giornate più calde e afose. Ma solo Zì Nennella aveva l’acqua fresca della fonte del Serino e il suo banco a piazzetta Teodoro Monticelli, davanti al Palazzo Penne e al Pendino di Santa Barbara. L’ultima vera acquaiola di Napoli che, al richiamo “Chi vo’ vevere, che è fredda!”, richiamava cittadini e turisti al suo banco di marmo, che stava lì dalla fine dell’Ottocento.

Zì Nennella ha chiuso la sua lunga e onorata carriera nel 2003, agli albori del nuovo millennio, in seguito ad una brutta caduta che le ha reso impossibile trascorrere le sue giornate in strada come in gioventù. Ogni giorno, si recava all’acquedotto a via Costantinopoli per attingere dalla sorgente del Serino, di cui si vantava ne fosse l’unica venditrice in zona.

I gesti napoletani: un mondo tutto da scoprire

Si racconta che da giovane fosse molto bella e corteggiata, ma che non concesse mai la sua mano a nessuno dei suoi pretendenti, restando libera e indipendente. Era una donna vanitosa, consapevole della sua bellezza e delle sue forme che gli uomini cercavano di intravedere ogni volta che si chinava per prendere l’acqua o mentre si metteva il rossetto.

Nennella, come sarà chiaro, altro non è che un affettuoso nomignolo datogli dalla mamma. In verità, si chiamava Vincenza, ultima di quattro figli, tutti purtroppo morti prematuramente. Per scaramanzia, la mamma la chiamava Nennella, anonimamente. Come se così la morte non potesse vederla.

La chiamavano così anche a scuola, al “Margherita di Savoia” dove, lei stessa dice, imparò l’italiano, e dalla comara con la quale crebbe. Scampò alla violenza della guerra, Nennella, e alle bombe che caddero sul monastero di Santa Chiara.

Il banco dell’acqua lo ereditò dalla nonna, acquaiola del quartiere di San Chiara prima di lei, dove cominciò a lavorare prestissimo, appena adolescenza. L’acqua con limone, zucchero e bicarbonato era la sua specialità che, in tempi lontani, vendeva a sole 10 lire. Ma per arrotondare, vendeva anche ‘o petrusino, il prezzemolo, e le rattatelle, ovvero le granite ricavate grattando il ghiaccio in blocco.

A renderla davvero conosciuta ai più è stata una foto scattata da Luciano De Crescenzo, che la pubblicò nel suo libro La Napoli di Bellavista. “Non mi ha mai regalato quel libro!”, lamentò Nennella una volta, quasi ad avercela con lo scrittore per la sua scortesia.

Un bicchiere d’acqua con una spruzzata di limone e un tocco di bicarbonato è un vero e proprio toccasana contro la calura estiva ed i napoletani, soprattutto in passato, lo sapevano bene.  E gli acquaiuoli offrivano la “portentosa bevanda” per pochi soldi, attirando l’attenzione dei passanti rumoreggiando e urlando nelle afose giornate d’estate. Oggi sono figure più uniche che rare, come le sorgenti pubbliche d’acqua sulfurea  del Monte Echia e dell’acquedotto di via Costantinopoli.

Quelle rimaste in attività  si sono rinnovate per stare al passo con i tempi diventando piccoli chioschi  riforniti di tutto, anche di bevande alcoliche. Zì Nennella era l’ultimo caposaldo degli acquaioli napoletani alla vecchia maniera. La memoria storica e ancora viva della Napoli che fu, eterna come la stessa acqua e per sempre un capitolo indimenticabile nei racconti della città di Napoli.

Photo credits: Il Mattino

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Una risposta a “Zì Nennella e l’ultimo banco dell’acqua al Pendino”

  1. Claudio Nannini ha detto:

    Nennella mi ha tenuto in braccio appena nato nei primi mesi del 1943. Era la figlia dell’autista di mio nonno materno che abitava nel palazzo di fronte al banco stesso.

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