Eduardo nonostante Latella, Latella nonostante Eduardo
“Eduardo nonostante Latella, Latella nonostante Eduardo” un titolo evocativo per questa recensione di “Natale in casa Cupiello” uno spettacolo che ha in sè la somma delle cose positive di Eduardo e di Antonio Latella.
Lo spettacolo in scena al teatro San Ferdinando ha il primo notevole effetto di far discutere e questo, nel bene o nel male, è sempre positivo. Questa ardita rilettura di Natale in casa Cupiello in primo luogo divide: pubblico e critica, come del resto gli altri lavori di Latella.
Napoli accende le Luminarie, la magia del Natale sta per iniziare!Il regista parte dal presupposto che tutti conoscano a memoria il testo di Eduardo e supera la difficoltà e le possibilità di una messa in scena a forte rischio di banalità, a causa anche dell’inevitabile confronto con l’originale, puntando tutto sull’emozione e sul simbolismo. E in questo riesce benissimo. Assistendo al suo Natale in casa Cupiello la prima cosa di cui ci si dimentica è proprio il Natale se non fosse per l’enorme stella cometa che fa da sfondo alla prima parte del primo atto, opera del magistrale lavoro di Simone Mannino e Simona D’Amico.
Nella sua volontà di stupire e di rendere omaggio all’Eduardo scrittore, portando sul palco anche le puntigliose e ricche didascalie, il testo della “commedia” quasi si perde, quasi non si riesce a seguire la vicenda, le battute, la bellezza indiscutibile delle parole di Eduardo. Eppure, al di là di qualche effetto estetico e barocco cui peraltro Latella non è nuovo, e qui si pensa al suo “Arlecchino servo di due padroni”, la parte centrale dello spettacolo è immaginifica, è tragedia, diventa topos senza che sia importane capire le parole che, soprattutto nella prima parte, vengono indubbiamente sacrificate.
Tutto diventa simbolo nelle mani di Latella, primi fra tutti gli attori, vestiti di nero, il colore della tragedia e del lutto, eccetto Francesco Manetti, vestito di bianco che interpreta l’ingenuo protagonista, Luca Cupiello, in cui si trasfigura lo stesso Eduardo, sempre intento nel gesto di scrivere le parole del dramma che sta andando in scena.
Latella destruttura completamente il testo e la messa in scena classica alternando sul palco più generi teatrali: dal teatro d’avanguardia della prima parte del primo atto, passando per vaghi accenni alla sceneggiata napoletana, fino all’operetta del secondo atto. Attinge finanche alla pittura citando ad un tratto le Sette opere di Misericordia di Caravaggio. Il tutto risulta in alcuni momenti troppo, un eccesso che sa di barocchismo, eppure alla fine dello spettacolo c’è emozione e tragedia, la tragedia di un uomo ingenuo e dolente che muore come un Gesù Bambino in una mangiatoia.
Qui come davanti ad un’opera di arte contemporanea bisogna porsi dimenticando per un attimo la categoria del bello. Se un quadro figurativo o una statua classica lo si giudica prima con lo sguardo, cioè giudicando se è bella o brutta, e dopo viene l’emozione, davanti ad un’opera di arte contemporanea la categoria del bello è secondaria, ma si osserva l’opera badando a cosa vuol dire, a cosa suscita nello spettatore. E così davanti all’opera di Latella bisogna porsi affidandosi completamente all’emozione.
Sterile discussione se sia opportuna o meno questo tipo di operazione bisogna piuttosto chiedersi se colpisce nel segno. La sua messa in scena stupisce, interroga ed emoziona e, se compito del teatro è, come diceva Aristotele, la catarsi delle emozioni, allora l’operazione è riuscita pur con qualche caduta, qualche lentezza e qualche eccesso.
Lo spettacolo funziona anche grazie all’ottimo gruppo di attori sul palco. Spiccano Monica Piseddu nella parte di una Concetta in pantaloni, simbolo classico del capofamiglia, che porta su di sè tutto il peso della tragedia familiare, peso simbolicamente rappresentato da un pesante carretto che trascina per tutta la spoglia scena. Citiamo Lino Musella perfetto nel ruolo di Tommasimo, Valentina Acca, la figlia Ninuccia, centro del dramma e Francesco Villano in Nicola, suo marito. Ma tutto lo spettacolo è in realtà un grande affresco corale dove fondamentali risultano tutti i ruoli come Pasqualino, fratello di Luca di Michelangelo Dalisi, Raffaele, portiere interpretato da Leandro Amato, Vittorio Elia di Giuseppe Lanino, in Il dottore di Maurizio Rippa, e le vicine di casa: Carmela di Annibale Pavone, Rita di Emilio Vacca e Maria di Alessandra Borgia.
La drammaturgia del progetto è affidata a Linda Dalisi, i costumi, ora scarni ed essenziali, ora barocchi sono di Fabio Sonnino, le musiche visionarie ed ossessive sono di Franco Visioli, le luci di Simone De Angelis.
La recensione è stata scritta a quattro mani con Nico Ciliberti, attore e regista, alla fine di un confronto lungo e stimolante su uno spettacolo che può piacere o meno, ma che sicuramente non lascia indifferenti.
Informazioni
Dove: Teatro San Ferdinando – Piazza Eduardo De Filippo 20, Napoli
Orari: 16, 18, 22, 25 nov. ore 21.00; 17, 23, 24 nov. ore 17.00; 19 e 26 nov. ore 19.00; 20 e 27 nov. ore 18.00
Info: www. teatrostabilenapoli.it – Biglietteria tel 081.292030 / 081.291878