“Mo vene Natale, Nun tengo denare”: filastrocca natalizia dei tempi difficili

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Conoscete il famoso detto natalizio “Mo vene Natale, Nun tengo denare”? Questo è solo il verso con il quale inizia un’antica filastrocca napoletana che, con l’avvicinarsi del Natale, mio padre è solito recitare con tono ironico e un’espressione malinconica, pensando ai Natali della sua infanzia.

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Al Sud Italia, fino a qualche decennio fa, non era raro trascorrere le festività natalizie all’insegna di una rigorosa semplicità: cena frugale, qualche boccata di pipa mentre ci si crogiolava al tepore del camino, quel tanto che bastava per passare un po’ di tempo con la famiglia prima di ritirarsi per la notte. Nessun cenone. Nessun regalo da scartare.

 

Se vi fermate a riflettere anche voi, è chiaro quanto i suoi versi siano attuali: molte persone oggi hanno una disponibilità economica di gran lunga inferiore rispetto allo scorso anno e hanno evidenti difficoltà a dedicarsi agli acquisti natalizi per donare ai propri cari ciò che più desiderano e ad offrirgli un cenone di Natale con tutte le leccornie tipiche di questa festività. E anche chi non se la passa tanto male fa più attenzione al risparmio.

 

C’è una cosa che una società materialista come la nostra, ormai, non teneva più tanto in conto: il futuro è imprevedibile e i beni materiali ora ci sono. Poi, potrebbero non esserci più. Non sono essenziali quanto poter trascorrere il Natale con i propri familiari e amici, seppure in semplicità.

 

In questo contesto, perciò, si può ben dire: “Nuvena nuvena! Mo vene Natale, nun tengo denare. M’appiccio la pipa e me vaco a cuccà.” Ma cosa vuol dire e qual è la sua origine?

 

Significato e origine

Dunque, la traduzione in italiano è: “Arriva Natale, non ho soldi. Fumo la pipa e vado a dormire.” Chiaro, no? E qual è, invece, l’origine di questa savia filastrocca? Ha ovviamente origini antiche, tanto che il nome dell’autore è andato perduto nello scorrere del tempo.

 

L’ipotesi più accreditata, tuttavia, è che le sue origini vadano ricercate in territorio siciliano. Deriverebbe, forse, dalla seguente versione in dialetto siciliano: “Mo’ vene Natale e u ttegnu dinari. Mi pigghiu a pippa e mi mindu a fumari.”

 

Erano soliti recitarli i vecchietti che vivevano in uno stato di forte indigenza. Ciò nonostante, la vita semplice che conducevano gli faceva sopportare le privazioni con leggerezza. Sapevano essere felici, e aggiungerei oltre modo saggi, anche in occasione del Santo Natale, momento dell’anno in cui le differenze sociali sono maggiormente accentuate. Nel confronto ne uscivano più ricchi, a loro modo, di spirito e di animo.

 

I napoletani ne hanno fatto loro i versi, integrandoli nella nostra cultura. Renato Carosone, uno degli indimenticabili cantautori della canzone partenopea, ha fatto di più: ha creato attorno a questa filastrocca un testo musicale. Una canzone che uscì nel 1959, il cui titolo “Mo vene Natale” gli rende omaggio. Il ritornello ne propone, però, una variante inedita che recita:  “Mo vene Natale. Nun tengo denare. Me leggio ‘o giurnale e me vaco a cuccà”.

 

Photo credits: Mariangela Martoccia

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