Sant’Aspreno, il Santo che ha inventato l’Aspirina
Cosa c'entra Sant'Aspreno, uno dei santi protettori di Napoli, con l'Aspirina? Una storia tutta partenopea.
Cosa c’entra l’aspirina – probabilmente uno dei farmaci più famosi del mondo, rimedio universale per mali di ogni tipo ed in special modo per il mal di testa -con Napoli e con uno dei suoi santi protettori? La questione è intricata, facciamo un passo alla volta e partiamo dall’inizio.
Ok, è vero, il santo patrono super ufficiale di Napoli è sicuramente San Gennaro, il santo dei napoletani per eccellenza, però non si può ignorare che la città ha ben 47 santi protettori e che il secondo in ordine di importanza pare sia proprio il tale Sant’Aspreno.
Il ragù napoletano e la sua leggenda: conquistò perfino uno spietato signore nemico di tuttiChi è Sant’Aspreno e perchè è importante per Napoli
Ma chi è questo santo così poco noto oggi eppure così importante in passato tanto da impedire che durante il Risanamento la sua chiesa venisse distrutta per far posto al nuovo programma urbanistico previsto per l’area del porto? Di certo, si sa che visse a Napoli tra la fine del I ed l’inizio del II sec. d.C., e che fu probabilmente il primo vescovo della chiesa di Napoli.
Una tradizione vuole che lo stesso San Pietro, in viaggio verso Roma, promise di guarirlo se si fosse convertito al cristianesimo. Aspreno, da tempo ammalato, si convertì alla nuova fede e si fece battezzare. San Pietro, mantenendo la parola data (non peraltro era un santo) lo guarì e, prima di ripartire, lo pose a capo della nascente chiesa napoletana. A conferma di questa storia nel Tesoro di San Gennaro si conserverebbe addirittura il bastone con cui Pietro guarì Aspreno.
Aspreno, poi, a capo della chiesa di Napoli rimase circa 23 anni e durante la sua carica acquisì in particolar modo fama di guaritore.
Qual è il legame tra Sant’Aspreno e l’Aspirina?
Fin qui nulla di strano, una storia come quella di moltissimi santi dei primi secoli della Chiesa. Cosa c’entra allora il nostro Vescovo con l’Aspirina?
La storia vuole che, alla fine dell’ottocento, quando si decise di radere al suolo tutta l’area dei vicoli nei pressi del porto e costruire un quartiere ottimizzato urbanisticamente, a farne le spese dovesse essere pure la piccola cappella di Sant’Aspreno al Porto. Il progetto prevedeva che proprio al suo posto dovesse essere costruito il nuovo palazzo della Borsa.
Fu solo grazie all’interessamento di Ferdinando Colonna di Stigliano che, nel 1892, il consiglio comunale deliberò sulla questione, stabilendo che la nuova strada venisse ristretta per preservare la cappella e che quest’ultima venisse inglobata nel palazzo in fase di costruzione.
Ed anche qui nulla di strano. Ma cosa rendeva così importante questa piccola chiesa nascosta in uno dei tanti vicoli del porto? Per capire qualcosa in più, bisogna scendere nell’ipogeo di questa cappella. Infatti la tradizione vuole che questa “grotta” altro non fosse che la casa del Santo. In realtà, si tratta di quello che in origine doveva essere parte di un ben più ampio e ricco stabilimento termale.
Sant’Aspreno e la capacità di guarire dal mal di testa
Qui, sulla scorta della tradizione, che identificava questo luogo come la casa del santo, nel VII sec. d.C., fu costruito un altare rupestre alla cui base vi era una foro nel quale i fedeli inserivano la testa per essere guariti dall’emicrania. Questa particolare capacità del santo di guarire dal mal di testa è variamente attribuita al fatto di essere stato decapitato per la sua fede, o al suo modo di fare penitenza, mettendo una pietra sulla testa.
Quale che sia l’origine di questa storia sta di fatto che questa tradizione è giunta fino ai giorni nostri.
Ed ecco trovato finalmente il legame con la nostra aspirina!
Infatti, una metropolitana e contemporanea leggenda vuole che, quando nel 1899 la Bayer creò il potente farmaco oggi noto come aspirina, si ispirò proprio a questa tradizione miracolosa anche perché fu proprio un napoletano, Raffaele Piria, a isolare l’acido salicilico principio attivo del nuovo farmaco.
Quale sia la verità purtroppo oggi non è dato di sapere, ma una passeggiata alla cappella di Sant’Aspreno al Porto, soprattutto se affetti da improvvise e quanto mai dolorose emicranie, non potrà far male. Chissà che il Santo non ripeta uno dei suoi miracoli. E, se proprio non dovesse accadere, si può sempre utilizzare l‘Aspirina!
A parte che Raffaele Piria era calabrese di Scilla e non napoletano, pare invece che il nome “aspirin” fu brevettato dalla Bayer il 6 marzo 1899, ad indicare la propria produzione industriale di acido acetilsalicilico, componendo il prefisso “a-” (per il gruppo acetile) con “-spir-” (dal fiore Spirea ulmaria, da cui si ricava l’acido spireico, ovvero l’acido salicilico) e col suffisso “-in” (generalmente usato per i farmaci all’epoca).
E’ vero quanto dice Giuseppe. Quest’articolo ripete a pappagallo le solite scemenze che le guide turistiche vomitano sui turisti per incuriosirli; ma quando si lascia qualcosa per iscritto su un sito pubblico non si può essere così disinformati e fuorvianti: o si è ignoranti o in malafede.
Già il titolo in quanto completamente falso offende il Santo.
Poi il Prof. Piria, chimico e docente di fama mondiale, effettivamente era calabrese e non napoletano.
Inoltre, lo scienziato calabrese, pur avendo eseguito importantissime ricerche a riguardo, non “isolò” affatto l’acido salicilico, già ampiamente conosciuto e ricavato da estratti naturali.
Infine il nome Aspirina che, come ha commentato più sopra Giuseppe, ha tutt’altra genesi e non deriva per nulla dal nome del primo vescovo di Napoli.
Sul consiglio di ricorrere alla Cappella Sant’Aspreno in caso di emicrania sennò “resta sempre l’Aspirina”, che vorrebbe avere un intento spiritoso, poi, stendiamo un velo.
…. Che, per le cose importanti o famose, si cerchi sempre di trovare un’origine campanilistica può risultare anche simpatico. Non ci trovo niente di male. D’altra parte nessuno si scandalizza quando sente dire “peso ottanta chili”- invece che “la mia massa è ottanta chili”.
La differenza è fondamentale, ma, nel parlar comune, glielo lasciamo dire.
Effettivamente lo scienziato era nato a Scilla in Calabria ma era napoletano d’adozione in quanto si trasferì a Napoli in giovane età dove si laureò alla Federico II. Si trasferì poi a Parigi per poi ritornare a Napoli nel 1869 inviato da Cavour, dove fu insignito della carica di ministro dell’istruzione da Garibaldi nei territori del regno Borbonico colonizzati dal Regno di Sardegna .
Spero di non scandalizzare ed irritare nessuno, dal settetrionale con l’aria di sufficienza al meridionale precisino, ma definire “napoletano” il prof. Piria non è sbagliato. Tale appellativo, infatti, non significa solo “nativo di Napoli” e/o “abitante della città di Napoli” ma anche “membro della Nazione napoletana”. Dopo il Congresso di Vienna e l’unificazione dei due Regni. quello di Napoli e quello di Sicilia, in un unico Stato, fu coniato il termine “duosiciliano” che però non ebbe molta fortuna. Mi fermo per non annoiare ulteriormente. Per approfondimenti v. “La Nazione napoletana” di Gigi Di Fiore, UTET 2015
Mica per nulla questa è nota come una LEGGENDA