Il principe di Sansevero tra realtà e magia

Il misterioso principe amante degli antichi riti alchemici

Arte e Cultura
Articolo di , 14 Apr 2009
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Passeggiando tra i vicoli del centro storico di Napoli, non si può non visitare la Cappella di Sansevero, a pochi passi da Piazza San Domenico Maggiore, nell’area dove nel periodo romano viveva una colonia di mercanti provenienti da Alessandrini d’Egitto. In questo luogo mistero e leggenda si fondono per trasportarci nel fantastico mondo del principe Raimondo de Sangro.

Egli divenne principe all’età di sedici anni, dopo aver ereditato il titolo direttamente dal nonno Paolo, per rinuncia del padre che aveva indossato l’abito sacerdotale. Raimondo fu una mente eccelsa per la sua epoca: entrò a far parte della confraternita dei Rosacroce, che lo iniziò agli antichi riti alchemici. Il principe riempì così lo scantinato del suo palazzo con forni, provette e alambicchi. Di notte non era raro vedere strani fumi colorati o sentire odori particolari che provenivano dall’edificio. Da qui l’appellativo di “stregone” che gli attribuì il popolo napoletano.

Lo Guarracino, famosa tarantella del '700

Nel 1744, per volere dello stesso principe, la Cappella fu restaurata e abbellita con varie opere d’arte. Oggi è nota soprattutto per tre delle statue che la adornano, la cui esecuzione materiale resta ancora un misero. Due di esse, tra cui il notissimo “Cristo velato”, opera dello scultore Sammartino, sembrano coperte da un velo trasparente di marmo che però è omogeneo con la statua sottostante, mentre la terza è coperta da una rete di marmo apparentemente posta successivamente, ma anch’essa perfettamente omogenea con la statua. Una delle ipotesi, è che si tratti del risultato di un procedimento inventato dal principe per “marmorizzare”i tessuti. Tale procedimento, però, non è stato ancora messo alla prova e tutt’oggi non sembrano esserci spiegazioni convincenti.

Fra le tante invenzioni del principe vanno ricordati un “lume eterno” (si narra che egli lo realizzò triturando le ossa di un teschio che bruciava anche per ore senza che si consumasse) e le famose “macchie anatomiche”. Si tratta di due scheletri, uno maschile e uno femminile, ricoperti dai loro sistemi venoso e arterioso mummificati. L’apparato di vene, arterie e capillari appare pietrificato o meglio “metallizzato”, e ancora oggi ci si chiede come sia stato possibile conseguire tale risultato.

Secondo una delle teorie più accreditate, i due corpi sarebbero stati sottoposti ad un esperimento da parte del principe stesso con l’aiuto del celebre anatomista dell’epoca Giuseppe Salerno.
Sorge spontaneo un dubbio: le cavie umane erano vive o morte al momento dell’esperimento? Un vecchio testo anonimo conferma che vennero “create” dal principe e da Salerno attraverso un processo di metallizzazione ottenuto introducendo in un’arteria dei cadaveri un liquido atto allo scopo. Ma, di contro, tutti gli studiosi che hanno analizzato questi reperti hanno sottolineato che per permettere alla sostanza di metallizzare l’apparato venoso e arterioso sarebbe stato necessario che la circolazione sanguigna fosse ancora funzionante. Se così fosse avvenuto, i corpi sarebbero stati ancora vivi al momento dell’iniezione. A tal proposito, la conferma si potrebbe trovare nel corpo della donna, che presenta un braccio alzato come a difendersi e un’espressione di puro terrore nel volto. La donna era incinta e, nella parte centrale del suo corpo, si possono osservare anche tutte le vene del feto e quelle del cordone ombelicale. Nella bocca si possono riconoscere anche i vasi sanguigni della lingua. L’uomo, invece, è privo di esofago e il cuore risulta più grande del normale (forse a causa del procedimento alchemico). Non si conosce il tipo di sostanza, ma si presume che fosse di tipo mercuriale, che sia stata iniettata nell’aorta e che entrando nella circolazione attiva abbia fissato tutto il sistema prima che il cuore si fermasse.

Con la sua morte, avvenuta nel 1771, il principe portò nella tomba tantissimi segreti della sua arte. Le attività  “inusuali” e la passione per l’alchimia di don Raimondo contribuirono non poco ad alimentare una serie di leggende sul suo conto. Egli così divenne una figura di primo piano nell’immaginario “magico” della cultura popolare napoletana.

E’ comunque accertato storicamente che egli fu massone: nel 1774 si iscrisse alla “Libera muratoria” e in pochi anni scalò la gerarchia dell’associazione segreta giungendo a diventare Gran Maestro di tutte le Logge napoletane. Iniziarono, in tal periodo, le invettive della Chiesa, dei Gesuiti in particolare, contro la Massoneria. Convinto che unico modo per difendere le Logge fosse il porle sotto un’alta protezione, il principe si avvicinò ancor più al re Carlo III di Borbone, di cui era consigliere, tentando di ottenere l’iscrizione (come peraltro già  avvenuto in Prussia con Federico II), ma nel 1751 Papa Benedetto XIV scomunicò tutti gli appartenenti alla “Fratellanza” e ordinò lo scioglimento delle Logge. Sebbene a malincuore, Carlo III con un editto cancellò le Logge napoletane e bandì la Massoneria dal Regno. Convinto ancora che fosse l’unico modo per salvare i fratelli da più gravi conseguenze, Raimondo de Sangro abiurò e fornì al re l’elenco degli iscritti che vennero, però, solo redarguiti e non puniti.

Altre astruse leggende sul suo conto raccontano che avesse fato uccidere sette cardinali e che con le loro ossa e la loro pelle avesse fatto realizzare altrettante sedie; poi. Che avesse ucciso una donna che gli si negava, e un nano che la difendeva, “metallizzandone” i corpi; che riuscisse a riprodurre la liquefazione del sangue come avviene per quello di San Gennaro.

Appassionato anche di musica e canto, era solito girare per le campagne in cerca di ragazzi dalla voce adatta; li comprava dai genitori, li faceva castrare dal suo medico per rinchiuderli poi nel Conservatorio di Napoli dove venivano avviati alla professione canora.
Nell’Ottocento si diffuse la diceria che lo spirito senza testa di Raimondo si aggirasse per il centro storico di Napoli senza trovare pace e che in alcune notti di luna piena, per le strade che costeggiano la Cappella, si sentisse lo scalpitio dei cavalli della sua carrozza.

Testo tratto dal sito del Comune di Napoli

 

Museo Cappella Sansevero
Via F. De Sanctis 19/21
80134 – Napoli

www.museosansevero.it
Tel./Fax +39 081 5518470

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2 risposte a “Il principe di Sansevero tra realtà e magia”

  1. Pier Tulip ha detto:

    Per i lettori che volessero approfondire la storia di Raimondo de’ Sangro e tutti i segreti della cappella Sansevero consiglio di leggere il libro “Rum Molh” edito da ilmiolibro.it
    http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=574212
    Cadono tutti i veli che coprono le opere del Principe.

  2. Paola Diana Minieri ha detto:

    Il sistema circolatorio è frutto di una ricostruzione, per quanto complessa, fatta di spago, cera d’api e coloranti. Ecco perchè sono definite ‘macchine’. In un articolo del genere andrebbe specificato.
    Sarebbe bene controllare anche l’ortografia, prima di premere ‘invio’, tantopiù quando si tratta di scritti pubblici.

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