Morte e funerale del Carnevale napoletano

Il fascino dei riti e dei miti della Campania, rivive nelle feste e nelle tradizioni popolari del Carnevale.

Tradizioni e Curiosità
Articolo di , 03 Feb 2016
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Le origini del Carnevale napoletano, come molte feste di tradizione cattolica, traggono origine dal mondo pagano greco-romano, associate alle festività dionisiache e ai saturnali, che segnano l’ingresso del solstizio invernale in onore di Saturno, il dio romano dell’agricoltura.

Questo momento dell’anno era vissuto all’insegna della spensieratezza, dall’abbandono temporaneo dagli obblighi sociali, accentuato dalle danze, dalle musiche, dai giochi, dagli scherzi, e dall’uso delle maschere che diventano gli elementi distintivi della festa. Tutto era concesso.

Una nuova specialità: il caffè alla mela annurca

Il termine Carnevale deriva dal latino carnem levare ovvero «levare la carne» per indicare il periodo di astinenza dalla carne che proseguirà nella Quaresima, e terminerà a Pasqua.
Il Carnevale napoletano ha inizio il 17 Gennaio, nel giorno di Sant’Antonio Abbate «a’ festa e Sant’Antuono» (attraverso il rituale purificatore del fuoco) e si chiude il Martedì Grasso, il giorno in cui è consentito mangiare cibi prelibati tra cui la carne; questo giorno segna anche l’ultimo della settimana grassa, prima dell’inizio della Quaresima, a cavallo del Mercoledì delle Ceneri. Insomma due settimane di baldorie e di buon cibo a portata di tutti, prima del periodo magro e di astinenze.

La prima documentazione del Carnevale a Napoli si ha nel XVI secolo, ed era riservato esclusivamente ai ceti aristocratici e alla corte reale che non mancavano di sfoggiare esibizioni degne di sfarzo e di potere, mettendo in scena grandi ricevimenti in maschera, balli, spettacoli, giochi e tornei. Ma è l’altro Carnevale che ci interessa, quello del popolo, dei vicoli e delle piazze che è stato poco documentato in quanto non ritenuto degno di essere appuntato e tramandato, seppure debolmente. Proprio quest’ultimo conserva in sé un patrimonio unico nel suo genere.

Il rituale della morte e del funerale di Carnevale

«Carn’val’ mij’, sì muort’ … » Recitano così in una litania burlesca, le donne, gli uomini e i ragazzi nel giorno del Martedì Grasso, quando si inscena la morte e il funerale di Carnevale, fra lamenti, urla, parolacce e finti piagnistei. Una memoria storica che riaffiora nel tempo.

Ogni Paese ha la sua tradizione. In alcune frazioni di Napoli e Provincia, vive ancora intatto questo rituale della morte di Carnevale messo in piedi come un vero spettacolo, dove tutta la cittadinanza partecipa al corteo funebre tra lo stupore delle nuove generazioni.
Accade che su un carretto a quattro ruote ben dipinto e addobbato di fiori, si sistemano a mo di ghirlande, le collane di salumi e di salsicce, le foglie di cavolo e di broccolo (verdure e ortaggi presenti nell’inverno) i lumini e le candele accese, il tutto bardato di veli neri e fiocchi. Un modo per esorcizzare in qualche maniera il passaggio dal vecchio al nuovo anno.

Il carro una volta preparato è trainato solitamente a mano o da un uomo o da un asinello e al suo interno vi è sdraiato Carnevale morto, ossia un fantoccio, un pupazzo fatto di paglia e fieno e rivestito con abiti comuni dalla più svariate fantasie. C’è chi gli dona il vecchio Frac, chi un abito consumato, chi un pigiama, abiti da lavoro; qui tutti si sbizzarriscono per fare bella figura in piazza e onorare la memoria del morto.
Durante questa plateale manifestazione, gli esponenti della famiglia di Carnevale (cioè gli organizzatori) intonano il canto funebre fatto di testi tramandati da famiglia a famiglia mentre gli uomini in processione, sorseggiano del vino; poi il fantoccio viene bruciato nel falò e ridotto in cenere mentre si prosegue con il corteo, fra lamenti, risate, baldorie e leccornie.
In linea generale i festeggiamenti hanno inizio con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale del fantoccio, che simboleggia il capo espiatorio di tutti i mali.

Si dice che Carnevale abbia la faccia sporca di carbone, è morto con la pipa in bocca, ha il viso sereno, il pancione pieno, un cappello alla pulcinella e porta una croce di rape sul petto.
Lascia a noi il suo testamento fatto di speranze e di progetti futuri che dovremo rispettare.
Prima di morire ha goduto di tutte le gioie terrene, ed ora chi lo ama lo segue in corteo sfoggiando il celebre lamento funebre sceneggiato tutto in napoletano che auspica il ritorno benaugurate di Carnevale, negli anni a venire.
Per una sera, si recita a soggetto e gli attori improvvisati sono davvero talentuosi.
Il Carnevale napoletano è l’alternanza perpetua tra gioia e dolore, il vecchio e il nuovo.

Tra i lamenti funebri napoletani, spicca il finto consulto col medico tenutosi nei più importanti quartieri di Napoli che auguravano il ritorno di Carnevale:

”Comme si’ muorto, gioia mia! gioia, mo moro!
Ha ditto u miedeco de lu Mercato
Che Carnevale sta malato.
E gioia!
Ha ditto u miedeco de lu Pennino
Che Carnevale sta ma lato dint’i stentine.
E gioia!
Ha ditto u miedeco de vascio Puorto
Che Carnevale sta malato n’cuorpo.
E gioia!
E comme l’avite vista st’anno
Lu puzzate b’bedè a ca’a cient’anno”

(Anonimo 1882).

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