“T’aggià ‘mparà e t’aggia perdere”, un magnanimo proverbio napoletano

Il proverbio napoletano che parla dell'evoluzione del rapporto tra maestro ed allievo, mettendo in luce la magnanimità del maestro che lascia libero il suo allievo pur di vederlo spiccare il volo.

Tradizioni e Curiosità
Articolo di , 17 Ott 2024
2030

Nel vasto panorama delle relazioni umane, il rapporto tra maestro e allievo occupa un posto speciale. Questo legame, basato su rispetto, fiducia e dedizione, si manifesta in modo particolarmente intenso nella tradizione napoletana e in un proverbio in particolare. A Napoli, la figura del maestro non è semplicemente quella di un educatore o di un formatore; è una guida spirituale, un faro nella vita dell’allievo, un vero e proprio punto cardinale.

Il rapporto tra maestro e allievo

Attraverso i secoli, la città di Napoli ha dato origine a innumerevoli maestri nelle arti, nella letteratura, nella musica e in altri campi. Basti pensare al milieu culturale che gravitò attorno la nascita dell‘Università degli Studi di Napoli Federico II. Questi maestri, consapevoli della profonda responsabilità che il loro ruolo comporta, hanno sempre cercato di trasmettere non solo competenze e conoscenze, ma anche valori, principi e un senso di appartenenza alla ricca tappezzeria culturale napoletana. Si sa, il percorso di crescita di un allievo non può essere sempre lineare: vi sono molti di alto e momenti di basso, periodi di regresso ed altri di evoluzione e successo. Proprio il successo, la maggior parte delle volte, posiziona di punto in bianco l’allievo davanti un bivio: separarsi o no dal maestro? Questo proverbio napoletano, di conseguenza, spiega con minuziosità la situazione e fornisce la scelta più giusta. Proprio mediante questo proverbio, infatti, si capisce chi è davvero un maestro valido che desidera il meglio per il proprio allievo.

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“T’aggià imparà e t’aggia perdere”, la magnanimità del proverbio

Questo proverbio napoletano vanta una grande magnanimità d’animo, proprio la medesima del maestro che pronuncia l’espressione popolare t’aggià imparà e t’aggia perdere. Una frase che serba una speranza, probabilmente una scommessa con se stessi. I grandi maestri la pronunciano (o la sussurrano interiormente) durante i primi approcci con l’allievo, giustamente ancora acerbo e inesperto. Lo fanno perché ne intuiscono tempestivamente il potenziale, intravedono già il professionista che potrebbe divenire in futuro se ben seguito ed istruito. I grandi maestri, i veri maestri, non sono prime donne vanitose: non desiderano detenere il primato di bravura su un argomento, non vogliono essere compiaciuti dalla mediocrità, non si sentono minacciati o ombrati dal talento, non vogliono essere seguiti fedelmente per tutta la vita, non pretendono un’egocentrica riconoscenza ed uno sperpero di lodi. Vogliono solo vedere germogliare i loro frutti, si auspicano che i loro allievi facciano realizzino qualcosa di ancora più grande e notevole di ciò che hanno realizzato loro. Sono ambiziosi, vogliono vedere di più e, in cuore loro, sanno che per vedere quel di più sognato concretizzarsi in realtà, debbono separarsi dai loro studenti e lasciarli liberi di spiccare il volo e di calpestare e sperimentare territori inediti. Sanno che gli allievi, per evolversi e contraddistinguersi dalla massa, debbono staccarsi e andare via. Fa parte del processo di crescita e di formazione.

Un allievo capace di camminare con le proprie gambe

Nella cultura napoletana, la separazione tra maestro e allievo non è vista come una perdita, ma come una naturale evoluzione del rapporto. Tra le righe di questo proverbio si evince un riconoscimento del fatto che l’allievo, grazie all’orientamento e alla guida del maestro, è ora pronto a intraprendere il proprio percorso, a confrontarsi con nuove sfide e a contribuire al continuo arricchimento del tessuto culturale e sociale di Napoli e del mondo.

Quando un allievo è pronto a spiccare il volo, non sta semplicemente mettendo in pratica le competenze acquisite; sta iniziando un viaggio di auto-scoperta, di crescita personale e di indipendenza. Per il maestro napoletano, permettere all’allievo di intraprendere questo viaggio è una delle decisioni più difficili, ma anche più nobili, che possa prendere. In questo viaggio non è solo l’allievo ad evolversi. Anche il maestro, vedendo la propria guida mettere radici e fiorire in modi unici e personali nell’allievo, impara e cresce. È un circolo virtuoso di apprendimento e crescita che fortifica il legame tra maestro e allievo, pur nella loro separazione fisica.

Il ciclo, quindi, si chiude con una profonda e lieta riconoscenza da ambi i lati: l’arricchimento è risultato vicendevole. L’allievo ha superato il maestro e il maestro non ne è invidioso, è soddisfatto. L’allievo, sebbene lontano, gliene sarà riconoscente per tutta la vita, perché è ben conscio che sa camminare da solo con le sue gambe grazie ai suoi precedenti insegnamenti. Proprio per questo, l’allievo ovunque andrà, manterrà salde nella sua anima le proprie radici, amandole e rispettandole.

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