I Ciceri a Napoli, protagonisti di piatti prelibati e di detti popolari

Oggi lezione di cucina e di lingua napoletana insieme: i legumi ed in particolare i ceci sono forieri sia di piatti tradizionali che di detti storici.

Tradizioni e Curiosità
Articolo di , 18 Set 2024
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Foto @Pexels

Maritati in maniera sacra a lagane e pasta ammiscata, i ciceri – il nome napoletano che identifica i ceci – sono protagonisti di piatti tradizionali immancabili sulle tavole dei napoletani.

Non essendo particolarmente pratici di humus, creme e vellutate, poiché abbiamo l’abitudine – oltre che il sacrosanto diritto – di infilare la pasta in qualsiasi tipo di preparazione, i ceci entrano di diritto nel nostro menù con la pasta e ceci alla napoletana.

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Alcuni la vogliono azzeccosa, altri brodosa, altri cremosa. Non può mancare un po’ di rosmarino, un po’ di alloro, chi mette la base di cipolla, sedano, carota e cipolla e chi con l’aglio. Dopo aver fatto ammorbidire i ceci in acqua e bicarbonato per la notte, li si cuoce minuziosamente. Li si condisce e si allunga il condimento con l’acqua e vi si butta dentro il nettare degli dei, la pasta. Si regola di sale, pepe, fino ad ottenere la consistenza giusta.

Ma i ciceri a Napoli non vengono usati solo in cucina. Sono anche largamente utilizzati nella lingua per esprimere concetti che altrimenti richiederebbero troppe parole. Andiamo ad esaminare più da vicino quanta verità si cela dietro questi legumi e i proverbi che ne derivano.

1) Nun se tene ‘nu cicero ‘mmocca

Sta ad indicare la scarsa affidabilità sulla riservatezza di una persona. Il cicero in questo caso incarna il segreto, la confidenza, che non viene custodito gelosamente come sarebbe d’uopo fare, ma viene spiattellato a chiunque si trovi nei paraggi. È di conseguenza sinonimo di pettegola, di capera.

2) Chillo nun vale tre ciceri

Uno dei motivi per cui i ceci sono così importanti nell’alimentazione partenopea è il loro bassissimo costo. È un alimento che sazia, piace e che non costa molto. Il suo scarso valore economico, però, traspare da questa espressione, che indica il corrispondente scarso valore della persona cui la si attribuisce.

3) E quante ciceruommole!

Come abbiamo già accennato in premessa, per ammorbidire i ceci si suole metterli nottetempo in ammollo in acqua con del bicarbonato. Da questa pratica deriva il termine geniale di ciceruommole. Già il nome è assonante al significato, ossia cerimonie anche eccessive. L’ammollamento del legume in acqua viene preso a modello per descrivere l‘affettazione ostentata e fuori luogo della persona falsa.

4) Scarta ciceri e piglia fasule

Omologo culinario di Scarta fruscio e piglia primmera, significa passare dalla padella alla brace. Prendere una scelta della vita sbagliata, magari per rifuggire da una situazione scomoda e finire in un guaio ancora più grosso. Anche se, non si capisce perché mai i fagioli dovrebbero essere peggiori dei ceci…

5) So ciceri ca nun se cociono

Indica qualcosa che non va come programmato, come si sperava che andasse. Il significato però è variegato e complesso. Può stare a indicare una persona che non si fa ammansire, non si fa abbabbiare, dunque sfugge dal tentativo di controllo che gli viene imposto. Oppure di una situazione che appare all’inizio allettante, magari un’offerta di lavoro, che si rivela non funzionare. Lo scetticismo del napoletano si esprime come quando, anche dopo più di un’ora di cottura, i ceci continuano a rimanere duri come il ferro!

 

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