Gian di Procida e Restituta. La storia dei due amanti che ispirò la fantasia di Boccaccio, ambientata tra Ischia e Procida

Arte e Cultura
Articolo di , 20 Set 2021
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Gian o Giovanni di Procida, legato alla nobiltà salernitana e signore dell’omonima isola flegrea, fu capostipite di una illustre famiglia sotto il regno svevo, angioino e aragonese. Il terzo della famiglia con questo nome, ispirò le rivolte dei Vespri Siciliani.
Giovanni Boccaccio prese spunto da questo casato per riportare ne “Il Decameron” Giornata quinta, Novella sesta, la storia di due amanti Gian e Restituta, scampati ad un orribile destino.
Procida, riconosciuta come Capitale italiana della cultura 2022 fa parte del patrimonio delle isole flegree di origine vulcanica, ricca di storia e di tradizioni, beatamente sospesa tra saggezza marinara e contadina.
Il suo mito evocativo ci narra le sorti del gigante Mimante che riposerebbe sotto Procida (Gigantomachia, la guerra contro gli dei dell’Olimpo) da cui probabilmente il toponimo greco “pròkeitai” ovvero”giace”; la disputa sull’origine del nome è tuttora misteriosa e affascinante come altrettanto incantevoli e pittoresche sono le sue storie, pennellate di emozioni.

Una di queste storie è stata descritta dal poeta e scrittore Giovanni Boccaccio nel XIV secolo ne «Il Decameron» alla Giornata quinta, Novella sesta, dove narra la storia di due amanti vissuti tra Ischia e Procida le cui vicende personali intrecciano fatti di cronaca e inventiva romanzesca, il tutto oscillante tra destino avverso e lieto fine.

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«Gian di Procida trovato con una giovane amata da lui, e stata data al re Federigo, per dovere essere arso con lei è legato ad un palo; riconosciuto da Ruggeri dell’Oria, campa e divien marito di lei».

Giovanni Boccaccio narra le vicende di due giovani innamorati: il «giovanetto» Gian (Giovanni) di Procida e la sua promessa sposa Restituta «una giovanetta bella e lieta molto» figlia di Marino Bolgaro, governatore d’Ischia.
Gian anch’egli di nobili origini, non contento di vedere la sua bella ogni giorno, amava recarsi da Procida ad Ischia anche di notte, talvolta a nuoto se non trovava la barca, solo per vedere almeno le mura di casa di lei.
Un giorno accadde che Restituta passeggiando sulla spiaggia «tutta soletta alla marina, di scoglio in iscoglio» si imbattè in un gruppo di giovani siciliani giunti con la loro imbarcazione, i quali vedendo la bellezza della fanciulla che s’aggirava tutta sola, decisero di rapirla e di portarla a Palermo, offrendola al giovane re Federico II di Sicilia per il suo diletto.

La fregata siciliana partita da Procida giunse a Palermo con i suoi marinai, i quali si precipitarono a palazzo reale al cospetto del re; il sovrano vedendo la fanciulla di così rara bellezza la prese a cuore e fatta alloggiare «in certe case bellissime d’un suo giardino il quale chiamavan la Cuba, e quivi servita».
Il rapimento di Restituta creò sgomento sulle isole di Ischia e di Procida e scompiglio nella famiglia di lei, poiché ignorando l’identità dei sequestratori, i genitori non sapevano dove cercare la figliola; Gian appresa la tragica notizia e intuendo la gravità di un rapimento, si precipitò giù alla marina e chiese da che parte fosse partita una fregata, e preparata la sua imbarcazione imboccò veloce le vie del mare investigando in ogni luogo.
Giunto in Calabria verso Scalea, qui gli fu detto che certi marinai siciliani erano diretti a Palermo con una fanciulla e senza perdere tempo, si precipitò a Palermo ed effettuò molte ricerche e seppe infine che il re la teneva per sé nel castello chiamato La Cuba.
Gian di Procida, perdendo le speranze di poterla avere e di rivederla ma spinto dal grande amore che provava per la fanciulla, si trattenne a Palermo meditando un piano di fuga per portarla via. Passò più volte sotto al Castello de La Cuba senza farsi notare, soltanto per poterla avvicinare da sola alla finestra; un giorno finalmente l’incontro felice avvenne e con gioia di entrambi.
A notte fonda Gian ispezionò le mura del palazzo ed entrò nuovamente nel castello, fino ad aggrapparsi alle pareti aiutandosi con una pertica dove trovò la camera della fanciulla spalancata che lo attendeva; i due innamorati passarono la notte insieme «e sopra il letto guardando, lei insieme con Gianni ignudi ed abbracciati vide dormire».

L’indomani il re, ridestato dalla sua cagionevole salute volle far visita alla fanciulla per trascorrere del tempo in sua presenza e accompagnato dal suo fedele servitore si fece portare a La Cuba.
Giunto di primo mattino e spalancando con delicatezza la camera della giovane, vide con gran stupore il tradimento della sua bella, stretta fra le braccia di Gian.
Preso dall’ira pensò d’istinto di ucciderli violentemente nel sonno ma per un re come lui sarebbe stato un gesto troppo vile; quindi ordinò al suo fedele servitore di catturarli e di portarli nella pubblica piazza di Palermo per essere arsi vivi e nudi.
Da lì a poche ore i due innamorati furono trascinati in piazza secondo il volere del re, vergognandosi del loro peccato d’amore e pregando per la salvezza della loro anima.
Tra il pianto e il pudore, tutti videro le belle grazie dell’uno e dell’altra fin quando la notizia giunse a Ruggiero di Loria, uomo valoroso ammiraglio del re che si avviò verso la piazza per assistere alla tragedia. Il destino volle che Ruggiero conobbe nel volto di Gian il figlio di Landolfo di Procida, fratello di messer Gian di Procida, grazie al quale Federico era divenuto signore di Procida. In Restituta conobbe l’autorità del padre, Governatore d’Ischia alleato della signoria siciliana.
Per appurare la verità, Ruggiero di Loria interrogò i due innamorati, dai quali si fece raccontare tutta la storia e mosso da senso di giustizia informò immediatamente il sovrano della vicenda, il quale dovette fare ammenda del suo errore che stava costando la vita ai due innamorati, le cui famiglie nobiliari e alleate contribuirono all’espansione della corona siciliana.
La storia si conclude con un bel lieto fine: il matrimonio di Gian e di Restituta, vestiti e ricoperti di oro e di ogni ricchezza e rimpatriati sulle loro belle isole di Procida e d’Ischia, dove vissero felici e contenti.

Chi erano veramente i due amanti?

Per le fonti storiche sono esistiti ben tre Gian di Procida, signori dell’omonima isola e nobili di Salerno di cui uno fu realmente il figlio di Landolfo o Landulfo da Procida mentre un suo antenato omonimo (si reputa suo zio paterno) diplomatico, medico e consigliere di Federico II di Svevia e di Manfredi, fu uno dei principali protagonisti della rivolta antiangioina dei Vespri Siciliani. La famiglia del casato nobiliare dei “Da Procida” o i “Procida” di origine salernitana e con ramo napoletano, furono molto influenti sotto il regno svevo, angioino e aragonese.
La fanciulla Restituta fu una nobildonna ischitana figlia di Landolfo Ingaldo governatore d’Ischia e Procida nel 1300 e della sua prima moglie Agnese di Favilla, fatta sposare realmente a Gian di Procida; Marino Bolgaro (personaggio realmente esistito, cavaliere alla corte di re Roberto di Sicilia) fu il nome fittizio impiegato da Boccaccio per salvaguardare l’identità della ragazza e il casato della sua famiglia.

Fonti

  • Le isole di Napoli – Le gemme che coronano il Golfo di Napoli – La Napoli tascabile de Il Mattino, Newton & Compton Editori.
  • http://www.camcampania.it/proposte-culturali/proposte-letterarie/1504-la-storia-di-giovanni-e-restituta-a-ischia-nel-decameron-di-boccaccio-e-nella-storia-del-d-ascia.html
  • http://www.genmarenostrum.com/pagine-lettere/letterap/da_procida.htm
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