Luca La Peccerella, identità sannita trapiantata nelle Langhe
Cursus prestigioso per il trentaseienne chef originario di Benevento, che dopo esperienze internazionali è approdato al relais Le Due Matote, ad una manciata di chilometri da Alba.
È possibile filtrare un luogo iconico – e vocato nel mondo per la sua identità eno-gastronomica – con gli occhi di un adolescente appassionato, e poi di un professionista affermato, attraverso un retaggio personale? Parlando con Luca La Peccerella – executive chef del prestigioso resort Le Due Matote, in località Bossolasco, “il paese delle rose”, nel cuore dell’Alta Langa – la domanda sembra quasi assumere una valenza retorica. Sono lontani eppure vividi gli anni della frequentazione nell’istituto alberghiero “Le Streghe” di Benevento, e le prime esperienze al ristorante “Pascalucci” nel capoluogo Sannita, vera e propria iniziazione al mestiere.
“Pulcinella mangiava così”: le ricette delle feste in un libro ritrovatoProbabilmente, avrà inciso in maniera dirimente la cultura contadina appresa nell’alveo del nucleo familiare, dalla manualità della nonna “che soppesava il cibo con le mani, come fossero due bilance tarate sull’amore per la cucina”, sino alla precisione geometrica della madre, sarta di professione.
Luca buongiorno, anzitutto è un piacere sentirti, seppur per via telefonica, in attesa di venirti a trovare per l’imminente stagione primaverile. Come stai e come procede il lavoro, in periodi notoriamente così frenetici causa imminenti festività natalizie?
Carlo, buongiorno a te, riesco a sentirti in una pausa circoscritta, sono a capo di una brigata di sala molto numerosa, pensa che noi tutti l’abbiamo visto crescere, questo posto, ed abbiamo un coordinamento e sinergia unica, costruita negli anni, che in periodi come questi mi assorbe totalmente. Tornando alla mia identità, mi definirei uno chef a vocazione internazionale, fortemente attaccato alle tradizioni della mia terra originaria, sino a trasfigurare la Langa, dove attualmente risiedo, con la mia visione ed impostazione partenopea, infondendovi passioni, ossessioni, ed anche, perché no, virtù e vizi.
Quali sono state le tue esperienze precedenti, dopo il tirocinio formativo nella tua città avita, Benevento?
Ho deciso, subito dopo l’esperienza da Pascalucci, di partire per il Nord e l’estero, ho rivestito fin quasi da subito il ruolo di sous-chef nell’ambito di grosse realtà imprenditoriali, per luxury brand come Bulgari ed Armani, un concetto di ristorazione “applicata” che all’epoca rappresentava il mio paradigma di riferimento, e che mi faceva relazionare sovente con colleghi noti, spesso stellati e riconosciuti da guide. Praticavo cucina orientata stilisticamente, – “plant-based” con grande risalto conferito al vegetale – che però con il tempo ho trovato un pochino standardizzata, realizzando che potevo andare oltre, introducendovi nuove istanze.
Potresti chiarirmi in che modo hai innervato la tua cucina di queste nuove esigenze espressive?
Indubbiamente mi ritengo un privilegiato, per il retaggio gastronomico culturale che posseggo, dopo l’adesione al successivo progetto “Visionnaire” con Filippo Cozzoli – anche questo informato all’idea di bistrot fine-dining a vocazione cosmopolita in showroom di lusso – sono approdato all’ambasciata italiana a Varsavia, valorizzando per così dire i miei profili identitari, dovevo sviluppare nuove tecniche partendo dalle mie origini, e ci sono riuscito senza soluzione di continuità.
Come sei approdato nelle Langhe, dopo tanto girovagare, in cerca della tua reale vocazione?
Determinante è stato l’incontro con Roberto Di Pinto, dello stellato “Sine” in Milano – metropoli che è sempre stata nelle mie corde, dove attualmente vivo e torno settimanalmente – che originariamente aveva la consulenza dalle “Due Matote”. Due anni fa sono approdato qui, sotto la sua egida, ed ho infine realizzato, nella qualità poi avocata di executive chef, di essere perfettamente in linea con lo spirito della proprietà, trasferendo quella che era la mia vocazione – stratificata seppur recisa – nello stile del ristorante fine-dining “L’Orangerie”.
Che differenze sostanziali hai trovato fra le Langhe e il Sannio, da un punto di vista di morfologia del territorio e contesto ambientale?
Le Langhe hanno un turismo quasi esclusivamente eno-gastronomico, uno chef qui potrebbe lavorare in perfetta autarchia, solamente con prodotti a chilometri zero, pensiamo all’impiego del pregiato Tartufo bianco, mentre nel Sannio l’esposizione è diversa, in termini di immaginario. Se è per questo ho anche del pescato fresco di giornata che proviene dal Golfo di Genova, spesso scherzo con i miei collaboratori in cucina che poi il profilo del Monviso non differisce di molto da quello del Taburno, ed i paragoni proseguirebbero in termini di enologia, fatta la tara alle diverse metodologie produttive……l’importante è il rispetto per la materia prima, ed entrambi i territori sono specialmente vocati in tale senso.
Quale tuo signature dish ci consiglieresti per le imminenti festività natalizie e come organizzerai il menù delle feste?
Beh, nelle mie terre fra Natale e Capodanno non si sparecchiava mai tavola, tradizione vuole che nel Cenone di fine anno vengano servite tredici portate, con grande risalto conferito a materie prime come anguilla, agnello, cardone, ragù, baccalà, cavolfiori, etc etc. Fra i miei piatti, proporrei il bagnet verde alla partenopea – acciughe, prezzemolo, pane e aceto, con colatura di alici, alici marinate e spaghetti – la royale di coniglio all’Ischitana con tartufo e foie gras – il coniglio di Nino di Costanzo è un capolavoro, lo ricordo ancora con grande emozione. Immancabile anche il cardone – sempre presente sulle tavole Sannite – proposto nella ricetta dei ravioli a forma di sole, ripieni di gallina di Saluzzo e cardo, con polpette di salsiccia di Bra e crema di uovo cotto a bassa temperatura. I colori che adoro sono quelli delle diverse varietà di cavolfiore, ad esempio, che compongono un quadro cromatico unico nella nostra insalata di rinforzo, rigorosamente dal nostro orto.
Come ti immagini fra qualche anno, concludendo questo nostro incontro, con la promessa di vederci al relais presto?
Per adesso mi concentro sulle ferie, che farò a Gennaio, andrò negli States, in particolare a New York, visiterò ovviamente anche ristoranti di gamma alta, ad esempio ho prenotato da Eleven Madison Park, dell’iconico Daniel Humm, ma anche ad asiatici, che adoro. Probabilmente, a lungo termine, mi vedo fuori dai fornelli, so che spesso i miei colleghi non amano gli aspetti organizzativi e gestionali, invece credo che abbiano un ruolo dirimente ed anche prodromico alla preparazione del piatto. Ecco, mi vedrei bene a gestire un home restaurant, affidandone la gestione magari a qualche fidato e talentuoso collaboratore che ho formato con perseveranza…..buone festività a tutti, i sogni vanno rincorsi!