I detti latini tradotti in napoletano, le analogie che non ti aspetti
La voce del popolo è la voce degli dei. Gli dei romani parlavano napoletano e alcuni proverbi fra i due popoli sono gli stessi!
“Vox populi, vox dei”. I proverbi e i detti sono la voce del popolo e, secondo i latini, la voce del popolo è la voce della divinità. Facendoci caso, sia la lingua latina sia quella napoletana sono piene zeppe di detti e proverbi, molti dei quali ancora largamente usati. Entrambe le lingue, spesso, esprimono un concetto con eleganza. Soprattutto in latino appaiono essere altisonanti e sottolineare la cultura erudita della persona che li ha pronunciati.
Ma esistono delle corrispondenze fra i detti latini e quelli napoletani? Eccome. In cosa si differenziano?
Proviamo a trovarne alcune.
“Iacent nisi pateant”
Cominciamo da “Iacent nisi pateant”. La traduzione letterale sarebbe qualcosa come “le arti, se non esposte finiscono per consumarsi, per rovinarsi”.
Spostiamo l’oggetto del proverbio, non più ad un quadro ma alla più bella forma d’arte esistente sulla faccia della terra, ossia il corpo femminile.
Quale migliore traduzione potremmo trovare, al detto, se non “E ‘ccose belle s’anna fa vedè!”?
“Verba volant, scripta manent”
“Verba volant, scripta manent”. Non si può fare affidamento solo sulle parole, la parola scritta invece testimonia ciò che è accaduto in maniera duratura. Se siete napoletani, mentre stavate leggendo, non vi è sovvenuta anche a voi la formula “E ‘cchiacchiere s’e ‘pporta ‘o viento, ‘e maccarune regnono ‘a panza.”
Il napoletano introduce nella formula l’elemento concreto, verace, pratico tipico della nostra cultura. Non si parla, in questa sede, di parole e carte di natura legale, amministrativa. Si parla di promesse e, se vogliamo, di pagherò portati via dal vento.
“Carpe diem”
“Carpe diem”: cogli l’attimo! Sfrutta il momento giusto e agisci. Diventerà “Vatte ‘o fierro finché è cavero!”
“In medio stat virtus”
“In medio stat virtus”. La virtù sta nel mezzo. Un principio di equilibrio senza tempo, dai greci fino ad oggi e ancora non siamo riusciti ad assimilare. Noi napoletani lo abbiamo fatto dicendo: “Lietto stritto, cuccate ‘mmiezo!”
“Audaces fortuna iuvat”
“Audaces fortuna iuvat”. Pomposo e glorioso brocardo romano che incita al coraggio (bellico). Il destino favorisce gli audaci, chi osa. È un invito a non avere paura delle avversità, poiché solo chi avrà coraggio, sarà aiutato dalla fortuna e quindi dagli Dei. Come avrebbero fatto, altrimenti, i soldati romani a vincere così tante battaglie, gladio alla mano?
Nelle nostre vene, però, scorre un sangue un po’ diverso. Non siamo poi così battaglieri, men che meno guerriglieri. Ma quando c’è da tirare fuori gli attributi, noi ci siamo.
E quando è il caso di farlo? Quando ne vale la pena. “Chi se mette paura (oppure chi nun tene coraggio) nun se cocca cu ‘e femmene belle”.
Tenetevi la guerra, noi alla guerra preferiamo l’amore.
“Excusatio non petita, accusatio manifesta”
“Excusatio non petita, accusatio manifesta”: delle scuse non richieste, manifestano una dichiarazione di colpevolezza. È la forma elegante latina della proverbiale coda di paglia. Troppo banale da ricordare per i napoletani. Meglio trovare qualche immagine più iconica. Un’immagine oppure un suono. O anche un’odore ed in tema di excusatio non petita… “Chi chiamma ‘o pireto, chillo l’ha fatto!” Molto più efficace.
I proverbi del popolo sono molto indicativi di come le persone pensano e traducono i loro pensieri in parole. Questi proverbi trasposti ne sono l’esempio lampante.
Uno stesso significato può assumere forme diverse e sfumature di significato differenti a seconda di chi ha assimilato ed esposto quel pensiero.
Nei proverbi in napoletano troviamo tanto della nostra cultura: tristezza, tenerezza, dolcezza, spirito critico e tantissimo umorismo.