Pendino di Santa Barbara a Napoli: una storia trasversale di discese e risalite
Risale al Medioevo il pendino di Santa Barbara, una delle storiche scalinate partenopee, di quelle significative gallerie in tufo che, un gradino dopo l’altro, dall’ombra fin su verso la luce, raccontano una storia trasversale di Napoli, di resistenza agli oppressori e di riservatezza.
Il pendino di Santa Barbara è una ripida gradinata che collega il quartiere San Giuseppe e, più precisamente Piazzetta Teodoro Monticelli, con il quartiere Porto e Via Sedile di Porto, una via che – in tempi antichi – era raggiunta dal mare.
Il collegamento urbanistico a gradoni avviene, quindi, da una zona che un tempo sbucava verso il mare fino a risalire verso il largo Banchi Nuovi, in pieno centro antico, un largo sul quale si affaccia il Palazzo Penne (il quattrocentesco palazzo a cui si associa la leggenda di Belzebù e dei chicchi di grano) e anche l’antica banca dell’acqua di zi’ Nennella.
“Un posto al sole”, SWFF 2024: parlano Mauro Racanati e Gina AmaranteL’ultimo banco dell’acqua sulfurea di Napoli sorgeva, infatti, proprio sul largo che discendeva verso il pendino Santa Barbara, in piena piazzetta Monticelli, esattamente davanti al Palazzo Penne, e la sua proprietaria – zi’ Nennella (immortalata dallo scrittore di Santa Lucia Luciano De Crescenzo con una famosa fotografia raccolta in “La Napoli di Bellavista”) – fu l’ultima acquaiola storica partenopea, l’ultima a conservare gelosamente questo antico mestiere.
Una scalinata storica
Dipendentemente dalla prospettiva di discesa o di risalita, dunque il pendino a Santa Barbara conduceva, se si era in faticosa salita, verso un rinfrescante sorso d’acqua acquisito come premio presso la banca dell’acqua ai Banchi Nuovi, oppure portava verso la più rigenerante delle ricompense, se si era in discesa veloce verso il mare.
Comparse in romanzi come “La pelle” di Curzio Malaparte e “Il Ventre di Napoli” di Matilde Serao, le scale di Santa Barbara sono riprese in letteratura e nel cinema attraverso piccoli frame che raccontano dei vizi e delle virtù di questo specifico luogo di passaggio. Come esempio di grande virtù, il percorso scosceso viene immortalato, infine, nel film del 1962 di Nanni Loy “Le quattro giornate di Napoli”, in una scena che racconta di quando i napoletani che abitavano al pendino lanciarono dai balconi gli oggetti più pesanti che riuscirono a trovare nelle loro case, per fermare l’avanzata dei soldati tedeschi e combattere per la liberazione della città usando il passaggio sulle rampe come trappola per gli oppressori.
Chiamato così perché nei suoi pressi esisteva una chiesa dedicata alla santa, il pendino Santa Barbara, con i suoi ripidi gradoni, oggi si sforza di resistere al tempo, ma la resistenza non basta a preservare dei luoghi di collegamento come questi, luoghi quasi segreti che costituiscono un patrimonio per Napoli, un suo – reale – segno identificativo. Ci vuole piuttosto tanta cura: cura di questa storia trasversale della città, cura di tutte le sue pendenze e inclinazioni.
Dalle colline fino al mare: le antiche pendenze di una “città obliqua”
Il “pendino” è quella strada in discesa che, un tempo, portava al mare; è quella pendenza antica che aveva il suo principio in una zona collinare. Proprio come il pendino di Santa Barbara – che dalla lieve collina dei Banchi Nuovi si aggancia all’attuale Via Sedile di Porto – esistono oltre duecento sistemi urbanistici di collegamento in città, che risalgono le colline di Napoli e che si srotolano per le sue discese verso il golfo.
Non è affatto facile orientarsi per questi corridoi pendenti fatti di rampe e scorci riservati ma, soprattutto quando ci si capita per caso, è un peccato non rallentare il passo visto che quei congiungimenti sono fatti, per l’appunto, proprio per indugiare, soffermarsi e riposare dopo qualche gradino. Persi senza tante indicazioni, poi, a risalire dal ventre della città fino alla sua cima, ci si ritroverà sbucati da qualche parte, a godersi una vista sul golfo che ripagherà di ogni passo.
Dal lungomare verso il Vomero passando per il centro antico, dalla collina di Posillipo discendendo giù per i quartieri obliqui, da Capodimonte fino al cuore della Sanità, queste viuzze nascoste abbracciano – come un sistema nervoso – la città in tutte le sue disparità, diventando un canale di comunicazione tra zone anche profondamente diverse tra loro.
Di qui, l’importanza di conservarli tutti, di preservare questo complesso canale di scambio nel quale concedersi di perdere la bussola, perché è “un cammino che esiste da sempre” – come canta Edoardo Bennato in “La città obliqua” – e che bisogna permettergli di continuare a fluire.