Lina Sastri, “La casa di Ninetta” e il rapporto indissolubile con Napoli

Lina Sastri, durante la quattordicesima edizione del Social World Film Festival, ha raccontato il processo di creazione de “La casa di Ninetta”, lungometraggio in concorso che ha poi vinto la sezione Focus. Si è lasciata andare, poi, ad un encomio sulla città di Napoli e ad un ricordo dei suoi esordi con Eduardo De Filippo.

Arte e Cultura
Articolo di , 29 Lug 2024
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Foto di copertina scattata dal fotografo Luca Somma

La casa di Ninetta, lungometraggio per la regia e la sceneggiatura di Lina Sastri, si è aggiudicato la vittoria nella sezione Focus durante la quattordicesima edizione del Social World Film Festival, il quale si è tenuto nella cornice di Vico Equense dal 30 giugno al 7 luglio 2024. La Sastri si è raccontata, spiegando il lungo e catartico processo che ha dato vita al film autobiografico e dedicato a sua madre, passando poi ad una considerazione commossa su ciò che ha rappresentato a rappresenta la città metropolitana di Napoli per il suo percorso artistico e di vita e ricordando, in fine, i suoi esordi nella compagnia teatrale di Eduardo De Filippo.

La casa di Ninetta, dal libretto al film

Mia madre, Ninetta, malata di Alzheimer, anni fa venne a mancare. Un anno dopo la sua dipartita, avvertii la necessità di scriverle delle cose, di raccontare di lei. Inizialmente credetti di fermarmi subito, di scrivere solo poche frasi, invece scrissi incessantemente per tre o quattro giorni, seguendo il mio flusso di coscienza e facendo affiorare i ricordi e le emozioni – Una storia che, quindi, nasce da un’esigenza di testimoniare e ricordare ciò che è stato, passando dalla carta alle riprese – È stato molto catartico scrivere il libretto, perché è significato liberarsi di qualcosa serbato dentro e di esternarlo, ponendolo fuori da sé. Io raccontavo la mia storia ma sapevo benissimo ciò che desideravo manifestare e ciò che volevo vedere, gli attori lo sapevano cosa volessi restituire. Per me era più importante raccontare la storia che essere Lucia. Scrissi di me e di mio fratello, riportai ricordi piacevoli e meno piacevoli, la storia d’amore con mio padre non molto felice”.

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Ha poi evidenziato le peculiarità di sua madre, spiegando anche come funzionavano le cose in quegli anni e quali erano i valori familiari da rispettare: “Mia madre era una donna forte, piena di rispetto per se stessa, ci ha cresciuti da sola, mio padre non era presente, era un commerciante, viaggiava molto. Mia madre, però, lo reputava comunque un grande amore: le donne di quei tempi sapevano, che salvo avvenimenti terribili, la famiglia andasse salvaguardata e mantenuta unita. Da tutto ciò è nato un libretto e poi anche uno spettacolo teatrale che ho portato avanti per un po’ di tempo, riscuotendo successo. Appresi poi di volerne trarre un film da questa vicenda di vita familiare ed autobiografica e ne trassi una sceneggiatura. Ci sono voluti anni per riadattare questo libretto un po’ poetico, ho fatto sette revisioni della sceneggiatura per giungere al risultato che desideravo e per ordinare anche i vari salti temporali. Il passato ed il presente nel film si mescolano, un po’ come accade nella memoria. Vi è un po’ di magia e di surrealtà, perché Ninetta come una fata vedeva le cose che non c’erano. È un film semplice ma sincero”. Un film, inoltre, in cui la musica ricopre un ruolo fondamentale: “Ninetta è dolce, sensuale, forte ma anche dolce, molto leggera. Mia madre aveva un grande senso della musicalità. Dimenticava tutto a causa della malattia ma la musica no. Le feci registrare delle canzoni, quindi, nel film sentirete nei sottofondi musicali proprio la voce originale di mia madre. La musica, inoltre, è molto presente nel film. Le musiche sono di Adriano Pennino, volevo una musica popolare”.

E per quanto concerne il suo esordio alla regia ed il lavoro di post-produzione: “Stare alla regia è stato bello ed impegnativo, perché sapevo perfettamente cosa desideravo. Avevo le idee molto chiare. La fase difficile è stata la post-produzione, la scelta della color, il montaggio, la musica, la voce fuori campo: tutto ciò che viene dopo che è molto tecnico, rispetto ciò che vi è sul set, ossia la magia e la creatività di generare qualcosa che non esiste. La post-produzione per me è stata una scoperta”.

Un elogio a Napoli e un ricordo di Eduardo De Filippo

La Sastri, alle sue spalle, vanta una carriera lunghissima, poderosa e poliedrica. Il suo primo amore è stato il teatro, una scoperta illuminante che le ha regalato il dono della libertà e della sperimentazione, aprendola a nuovi mondi. Io sono fuggita casa per fare teatro – ha rivelato – Avevo 17 anni, avevo preso con un anno di anticipo la maturità classica, perché non volevo studiare. Quando vidi il teatro, capii che lì dentro vi fosse la libertà. Da ragazzina mi vergognavo della mia bellezza, la comprimevo: indossavo le gonne lunghe, legavo i capelli. Appresi, invece, che lì dentro vi fosse la libertà di espressione e di essere e così, senza nulla, scappai e per tre anni sperimentai all’interno delle cooperative, in cui si svolgeva qualsiasi tipologia di mansione, senza ottenere mai una lira – ed ha raccontato l’incontro con uno dei grandi padri del teatro tradizionale partenopeoPoi conobbi Eduardo De Filippo, iniziai con una comparsa, poi sostituii un’attrice e lui comprese il mio potenziale ed iniziò a stimarmi ed affezionarsi a me ed ovviamente ricambiai. All’epoca, però, non desideravo dedicarmi al teatro di tradizione, infatti me ne andai e sperimentai molto altro. Con il tempo, però, ho riconosciuto e ho capito quanto sono stata fortunata a prendere parte a progetti che hanno fatto, non volendo e non aspettandoselo, che hanno fatto la storia del teatro e che sono rimasti scolpiti nel cuore e nella memoria del teatro”.

La Sastri nutre un rapporto indissolubile con la città di Napoli, proprio per questo motivo si è lasciata andare a questo encomio: “Napoli ha tutto: il teatro, il colore, gli odori, il mare, una musica e una lingua universale conosciuta e amata per tutto il mondo, così come il teatro eduardiano tradotto tutto il mondo. Tutto è concentrato in una città. Penso a tutte le bellezze che contemporaneamente accoglie: l teatro san Carlo, il MANN, la possibilità di passeggiare nella città e poi affacciarsi vicino il mare – ed ha concluso –  Al giorno d’oggi andiamo incontro ad un’omologazione dell’essere umano, Napoli continua a preservare la sua unicità, la sua identità del passato e le sue tradizioni ma al contempo è proiettata nel futuro, proprio per questo vive questa folgorazione del turismo, perché persone da tutto il mondo giungono e scoprono che cos’è la vita”.

Fotografia scattata dal fotografo Luca Somma

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