La maschera di Pulcinella a cavallo della Vecchia del Carnevale

Tradizioni e Curiosità
Articolo di , 10 Feb 2017
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Un vecchio detto recita: «Pulicenella a ccavallo ‘a Vecchia ‘o Carnevale» ma dove deriva?

Le tracce storiche del Carnevale napoletano si concentrano tra il 1500 e la seconda metà del 1700, una festa fortemente legata alle classe aristocratica, riservata esclusivamente alla Corte ed espressione del Regno di Napoli, lustro e potere del re che caratterizzava la cerimonia con vigore e fasto.
A detta di molti viaggiatori stranieri tra intellettuali ed artisti, spinti dal vento del Grand Tour, il Carnevale napoletano, fu definito il più divertente d’Europa e che in nessuna altra città si stava meglio a Napoli durante i festeggiamenti.

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Il Carnevale della dominazione spagnola fu etichettato eccessivo, violento e volgare mentre acquista una connotazione democratica, elegante e maestoso con i Borbone che spalancano i festeggiamenti anche al popolo (anche se gli avvisi ufficiali non danno mai notizia del Carnevale di strada) il quale, si appropria della festa per interpretarla in una forma più interessante e personale, apprezzata sopratutto dai viaggiatori stranieri che restano impressionati dallo spettacolo delle maschere, dai colori, dalla vitalità della gente e snobbano con gran piacere il Carnevale del regno e di tutta la classe dirigente, ebbri di enfasi e di austerità.
Sarà proprio il Carnevale di strada, cioè quello del popolo che verrà tramandato ai posteri tramite appunti e scritti (rari) dei turisti d’oltralpe .

Perché Pulcinella è a cavallo di una vecchia a Carnevale ?

La maschera per eccellenza della tradizione napoletana è Pulcinella, una maschera complessa che nasconde molti significati, emblema del Teatro della commedia dell’Arte, personaggio carnevalesco e soggetto pittorico prediletto tra la fine del Seicento e l’Ottocento, testimonianza di «doppiezza» e contraddizione; eletto come il come il padre degli sciocchi, in realtà ha molto a che fare con l’inconscio e il linguaggio umano.

A questo si ricollega il «Pulcinella a cavallo della Vecchia» una maschera di per sé doppia, (alquanto dimenticata) all’epoca famosa a Napoli e in tutta la Campania, che appariva tutti i giovedì di Carnevale e durante la Quaresima, e faceva la sua bella processione fra le vie storiche di Napoli fra botteghe e bancarelle, attirando fiumi di persone e seguaci.
Il soggetto era interpretato da un uomo che  incarnava entrambe le maschere: lo scanzonato Pulcinella e la Vecchia del Carnevale. Tale travestimento richiedeva grande capacità di coordinazione nei movimenti e , e l’attore in questo caso doveva possedere abilità mimiche, gestuali e ritmiche davvero notevoli; mosse, gesti e movenze furono per anni il perno principale che caratterizzavano questa particolare maschera.

Il Pulcinella, per metà vestito con il suo camicione bianco, sovrapponeva in contrasto, la gonna lunga nera della vecchia; all’altezza dello stomaco dell’attore, veniva posizionata il fantoccio fatto di paglia o stoppa che modellavano sia il volto rugoso che il mezzo busto della vecchia, dotata di braccia. A queste venivano collocate le finte gambe di Pulcinella a cavallo della Vecchia, il ché nell’insieme, dava l’impressione che davvero l’anziana reggesse il corpo giovane di Pulcinella.

Qual’era il significato allegorico di questa maschera?
L’interpretazione della maschera della Vecchia del Carnevale, sembravano cogliere questi aspetti: la natura appassita, l’anno trascorso, il passato, la vecchiaia, la negatività, e la rassegnazione, la fine di un ciclo, di un’era. Pulcinella invece sembrava suggerire: il presente, la gioventù, il cambiamento, la vitalità, la positività, l’anno nuovo e le giovani speranze e la spensieratezza.
Insieme, in simbiosi, esprimevano quel concetto che è una caratteristica di Napoli: la contraddizione, i due volti della città, il bene e il male, il riso e il pianto, la parte oscura e quella in luce tra bellezza e degrado.

Nei racconti popolari, Pulcinella è descritto con le braccia in alto intento a suonar le nacchere, mentre con un colpo di bacino al suono di tarantella, incideva movimenti sensuali e mosse oscene sulla vecchia (per mezzo di un asse di legno posizionato all’altezza delle gambe che spingeva il fantoccio della donna in avanti) alternando un paio di schiaffi o pàccheri sulla maschera della Vecchia e intonando formule scaramantiche dialettali per allontanare il malocchio. Questo spettacolo burlesco, scatenava risate e mosse da parte del pubblico che assisteva alla scenetta.
La nascita e l’evoluzione della maschera del «Pulecenella a ccavallo ‘a Vecchia ‘o Carnevale» fu considerata di buon auspicio, poiché durante la sua passeggiata allegorica in giro per la città, infondeva fortuna e prosperità per l’avvenire, grazie alla burlesca «danza erotica» (rimando pagano al culto di Priapo-Partenope) e alle formule augurali che esorcizzavano il male, in cambio di piccole offerte o doni sia in cibo che in danaro.

Curiosità: Da dove nasce l’usanza spaventosa e brutale di lanciare le uova a Carnevale?

Tra i riti del Carnevale napoletano si rammentano dei tipici divertimenti popolari al limite della violenza. Se a Carnevale (come recita il proverbio) ogni scherzo vale, dobbiamo menzionare alcune licenze introdotte per le strade e per le piazze, per limitare il numero degli incidenti valide solo per questa festa.
Nei rituali carnevaleschi era solito lanciarsi del cibo in eccesso (alimenti banditi durante la Quaresima) come frutta, ortaggi, uova colorate ripiene di acqua fetida, fiori, farina, confetti di gesso o di zucchero (anche al limite dell’eccesso) che traevano origine dai riti contadini, secondo cui: si lanciava con violenza tutto ciò che si desiderava ricevere, come una specie di rituale propiziatorio, in segno di amicizia, prosperità e fortuna.

Questi lanci in città invece sembravano dar libero sfogo alle frustrazioni personali, alle piccole vendette con un piglio di violenza, e per controllarli fu istituito un regolamento che mutava di anno in anno. Per un anno si vietarono il lancio delle uova ripiene di acqua, farina e altri liquidi che rompevano le finestre, macchiavano i vestiti e schizzavano sui passanti; in altri anni si vietò il lancio di acqua con i secchi che il più delle volte procurava risse in strada.
I disgraziati più colpiti furono le vedove e gli uomini vestiti di scuro; le prime in quanto vestite a lutto, dovevano abbandonarsi alla gioia di vivere e scordare per un giorno la tristezza almeno durante i festeggiamenti, e gli altri furono presi di mira (avvocati, medici, banchieri) perché sugli abiti scuri i colori lanciati addosso risaltavano, come una tavolozza fetida e chiassosa.
I preferiti dai ceti di media borghesia furono i lanci dei confetti da zucchero che venivano lanciati con forza sulle donne e sugli uomini di cui si era innamorati.
Un tempo, al posto dei Like e delle emoticon a cuore, per dire Mi Piaci si lanciavano i confetti!

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