La leggenda napoletana di Colapesce

È stato il grande filosofo Benedetto Croce nel suo volume «Storie e leggende napoletane» a riportare in superficie una fiaba metropolitana che rischiava di cadere nel dimenticatoio.

Arte e Cultura
Articolo di , 12 Gen 2016
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Una leggenda legata al mare è quella che ci viene tramandata di Colapesce; una storiella diffusa in tutto il meridione sin dal XII secolo, con la sua specifica variante da regione a regione.

È stato il grande filosofo Benedetto Croce nel suo volume «Storie e leggende napoletane» a riportare in superficie una fiaba metropolitana che rischiava di cadere nel dimenticatoio e assoggettata ad altre; la leggenda ci viene restituita grazie ad uno straordinario ritrovamento.

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La prima testimonianza del racconto di Colapesce è quella che troviamo scolpita su di un bassorilievo di epoca classica, posto all’angolo di Via Mezzo Cannone (descritta anche dal Croce) venuto alla luce durante gli scavi per le fondazioni di Sedile di Porto e murato nel ‘700; una lapide in latino molto esplicativa lo ricorda sulla facciata di una casa, tutt’ora presente.
Il fregio scultoreo rappresenta Orione (il mitologico gigante cacciatore) nelle sembianze di un uomo villoso che brandisce un pugnale nella mano destra. Il bassorilievo, il cui originale conservato al Museo di San Martino, durante i secoli è stato fonte di discussione sia per il soggetto ambiguo raffigurato sia per l’autenticità della sua datazione, posta nel medioevo. Ciò nonostante durante il ‘700 quell’emblema molto singolare è diventata per tutti il volto di Colapesce, simbolo dell’antico Sedile di Porto.

Ma chi è Colapesce ?

Nicola (Cola) pesce è il protagonista di una affascinante leggenda marina, che si è tramandata dall’antichità fino ad oggi e che conserva intatta la sua aurea misteriosa.
Il racconto narra di un ragazzo apprezzato per le sue abilità natatorie e per le sue immersioni subacquee non comuni e che maledetto dal mare finisce per tramutarsi in un vero pesce dotato di squame e dita palmate, questo secondo il mito.
Nicola a furia di rifugiarsi in mare si fa inghiottire da grossi pesci, usandoli come un vero e proprio mezzo di trasporto negli abissi e che per uscirne all’arrivo vivo, ne squarcia il ventre adoperando un bel coltello. Qui si ricollega il soggetto del bassorilievo di Orione, trovato a Napoli.
Questa incredibile storia si riferisce ad un culto tardo pagano marino denominato «’E figli ‘e Nittuno» ovvero I figli di Nettuno, una confraternita segreta i cui iniziati erano esclusivamente uomini, ovvero sommozzatori votati al Dio del mare.
Lo scopo di questa setta era quella di sottrarre maggiori ricchezze e tesori esistenti nelle grotte napoletane, rimanendo in apnea a lungo; un’impresa impossibile da compiere per i progressi ottenuti dalla scienza all’epoca.
Il loro segreto era da ricercare in alcune alghe specifiche che «rallentavano» il ritmo respiratorio, favorite anche da una buona meditazione di pre riscaldamento. Una volta ingerita, l’alga non comprometteva la lucidità mentale, anzi i sommozzatori ricevevano questo potere e potevano operare in piena tranquillità, in tempi davvero lunghissimi, imbattendosi in creature straordinarie. Si dice che gli iniziati fossero aiutati dalla Sirena Partenope e che dotati di poteri magici potevano avventurarsi negli abissi del Golfo.

Agli adepti del culto, venne dato il nome in codice di pesce-Nicolò e l’ultimo discendente di questa «dinastia» si vocifera fosse stato impiegato dai servizi segreti per recuperare alcuni reperti sul fondale, durante la seconda guerra mondiale e successivamente al dopoguerra.
Sono noti infatti i rapporti tra nazismo tedesco ed esoterismo, ma se pur fosse vera questa ipotesi, cosa cercassero questi a Napoli è davvero un mistero.

Cosa cercavano disperatamente i figli di Nettuno?

Principalmente gioielli, monili, monete, sculture greco-romane, insomma tutti quei tesori che il mare e le tempeste hanno sottratto alle antiche imbarcazioni che solcavano il Golfo di Napoli, venduti poi a misteriosi collezionisti, mecenati d’arte e agli uomini di cui non sapremo mai il loro nome, per arricchire la loro sete bramosa di potere. Arte trafugata al dio del mare.
Molte sono le varianti sulla leggenda di Colapesce, passando dalla Sicilia, Puglia fino all’Abruzzo e solo in un punto concordano tutte: Nicola-pesce è davvero esistito e forse è stato davvero un pesce leggendario e chissà se ancora oggi, si nasconde qualche raro erede che abbia imparato e tramandato i segreti del mare, magari celato nel fisico di un barcaiolo, di quello di uno scugnizzo, di un marinaio… nell’incanto del Golfo di Napoli.

La foto di copertina è di Federico Quagliulo

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