La colonna di Corradino: l’eroismo dell’ultimo principe di Svevia

La colonna di Corradino di Svevia è il simbolo di un infelice esecuzione.

Arte e Cultura
Articolo di , 23 Nov 2023
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La colonna di Corradino di Svevia è il simbolo di un infelice esecuzione: la decapitazione dell’ultimo principe svevo che a soli 16 anni tentò di riconquistare il Regno delle due Sicilie, sottratto dagli Angiò. La colonna con l’epigrafe commemorativa ci racconta del suo eroismo.

La colonna commemorativa in porfido, reca incisa a chiare lettere quest’iscrizione:
«Asturis ungue leo pullum rapiens aquilinum hic deplumavit acephalunque dedit» tradotta in «Il leone artigliando ad Astura l’aquilotto lo rapì, qui gli divelse le ali e lo decapitò».

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L’atto eroico di Corradino di Svevia

L’atto eroico del giovanissimo Corradino di Svevia, commosse intere generazioni, letterati e artisti di ogni tempo che su di lui composero un’aura romantica e idealista, ispirando versi, leggende e storie cariche di pathos.
Siamo nel Medioevo napoletano fra le lotte di potere fra Impero e Papato per il possesso del Regno delle Due Sicilie, con al centro l’ambito trono di Napoli, crocevia di dominazioni straniere tra normanni, svevi, angioini e aragonesi.
Nel 1267 Napoli assiste all’ultimo atto eroico della dinastia sveva degli Hohenstaufen per la riconquista del regno, caduto in possesso di Carlo I d’Angiò; il giovane Corradino scende in Italia per rivendicare il suo trono, ereditato dal celebre nonno: Federico II di Svevia.

Il 23 agosto del 1268 il giovane Corradino fu sconfitto nella famosa Battaglia di Tagliacozzo dal vecchio Carlo D’Angiò e per sottrarsi alla cattura di quest’ultimo, galoppò così tanto con i suoi fedeli cavalieri che giunse nella torre di Astura a Nettuno. Qui chiese ospitalità a Giovanni Frangipane signore del luogo e inizialmente suo sostenitore, prima di prendere il mare e ripartire per lidi più sicuri ma fu tradito da quest’ultimo e consegnato nelle mani dell’esercito nemico, rinchiuso nelle prigioni di Castel dell’Ovo a Napoli. Qui terminerà la sua avventura.

La condanna del giovane fu decisa a tavolino dallo spietato Carlo e da Clemente IV ma per dare una parvenza di legalità fu istituito il processo.
Il mattino del 29 ottobre del 1268 nella affollatissima e centrale Piazza Mercato, allora di Morcino luogo di supplizi e martiri, sotto gli occhi di un pubblico angosciato e sotto l’affilata mannaia del boia, cadde il folto e biondo capo di Corradino, di soli 16 anni, l’ultimo eroe della resistenza sveva. Con lui morì la stirpe tedesca degli Hohenstaufen, il sogno per i diritti sul Regno delle due Sicilie, gli ideali e i fervori giovanili.

Nessun onoranza funebre fu celebrata e si disse che le sue spoglie furono gettate presso la foce del fiume Sebeto, poco distante dal luogo dell’esecuzione.
Secondo una leggenda bavarese, la notte prima dell’esecuzione del giovane Corradino, sua madre la principessa Elisabetta di Baviera, vide comparire al capezzale del suo letto una Dama Bianca; una figura diafana, trasparente che senza parlare le mostrò una clessidra vuota e poi sparì nel nulla. Il messaggio di sventura fu fin troppo chiaro: la madre disperata per le sorti del figlio, aveva intuito il terribile presagio di morte del giovane e partì per l’Italia per salvarlo.
Secondo un’altra leggenda popolare ad esecuzione avvenuta, un’aquila (simbolo della dinastia) piombò dal cielo per bagnare un’ala nel sangue di Corradino per poi spiccare il volo verso Nord; sentore di vendetta. Nel racconto di Giovanni da Procida, medico e consigliere di Federico II, secondo un’altra versione e prima della decapitazione, Corradino gettò un guanto alla folla prima di cadere sotto la mannaia, offrendo tutto il suo coraggio a Napoli.

 

 

Le sue spoglie furono reclamate dall’amorevole madre che lo depose a sue spese nella Chiesa del Carmine anche se in un primo momento per commemorare la triste vicenda, fu eretta una colonna sormontata da una croce in stile gotico che rimase nel luogo del supplizio a lungo tempo. Infatti nel 1351 a cura della Corporazione dei Cuoiai (dove oggi sorge l’obelisco-fontana) fu eretta a sud-est della piazza, una cappella a memoria di Corradino intitolata della Santa Croce, in merito alla colonna in porfido recante la croce con l’epigrafe commemorativa e inserita all’interno della cappella. Colonna detta anche Espiatoria.
Accadde che nel 1781 durante i festeggiamenti della Madonna del Carmine, i fuochi pirotecnici provocarono l’incendio della cappella di Corradino e di un’altra adiacente intitolata alle Anime del Purgatorio voluta nel 1656 dove una Croce indicava la fossa comune dei morti ammalati di peste.

Nello stesso anno, per accorpare le cappelle distrutte fu costruita nel 1786 una chiesa chiamata di Santa Croce e Purgatorio al Mercato, ubicata nell’esedra di Piazza Mercato; questa ancora oggi è una chiesa di culto e si presenta con la pianta a croce greca divisa in tre navate, con preziose testimonianze storico-artistiche della città e conserva tra l’altro le opere di Luca Giordano e altri pittori napoletani, trasferite al Museo Civico del Maschio Angioino.

All’ingresso ai lati della porta sono inserite due lastre commemorative che citano le cappelle distrutte: a destra la lapide commemorativa dei Cuoiai e a sinistra si nota la lapide delle Anime del Purgatorio. Sempre alla sinistra (ma per coerenza doveva esser posta sul lato destro) la celeberrima e originale Colonna di Corradino isolata da un piccolo cancello.
La colonna in porfido rosso è alta circa 2 metri e dal diametro di circa 60 centimetri, sormontata da una grossa croce di marmo su cui a rilievo è stato scolpito il Cristo Crocefisso. Al di sopra si distingue una data MCCCLI (1351) e al di sotto si legge l’epigrafe commemorativa:
«Asturis ungue leo pullum rapiens aquilinum hic deplumavit acephalunque dedit».
Fortemente danneggiata dai bombardamenti mondiali e dal terremoto dell’Irpinia, la chiesa di Santa Croce e Purgatorio al Mercato è stata chiusa al pubblico.

Cosa accadde alle spoglie di Corradino nei secoli successivi?

Accadde che nel 1847 il principe Massimiliano di Wittelsbach, la cui casa reale era imparentata con la stipe dei Hohenstaufen, per sua volontà fece erigere sulla tomba di Corradino sita nella Chiesa del Carmine, un’imponente scultura raffigurante il giovanissimo svevo, nell’atto di un guerriero eroico come lo era in vita.
La storia della scultura è commovente: sul lato sinistro del piedistallo è stata raffigurata la scena del distacco dalla madre al momento della partenza, mentre al lato desto è stato rappresentato il momento prima del supplizio, il breve saluto tra Corradino e il suo compagno d’armi Federico di Baden che morì anch’egli decapitato.
Davanti al piedistallo campeggia una lapide con questa iscrizione:

Massimiliano principe ereditario di Baviera,
erge questo monumento funebre ad un parente della casa sua che fu re Corradino.
Ultimo degli Hohenstaufen.
L’anno 1847 giorno 14 maggio.

Circa un secolo dopo, anche l’esercito delle SS di Hitler volle mettere le mani sulle spoglie di Corradino di Svevia. Il perchè? Fonti attendibili confermano che il Fuhrer fosse colto dal fervore dell’occulto e dalla passione spasmodica per l’esoterismo e che quindi andasse a caccia di tesori e reliquie di matrice cristiana-templare per accrescere la sua collezione e ricostruire l’antico Pantheon degli Imperatori.
Si narra che le truppe tedesche inviate a Napoli, si recarono nella Chiesa del Carmine poiché supponevano che la Tomba di Corradino custodisse un prezioso tesoro; i frati riuscirono a nascondere la lapide dello svevo con dei grossi tappeti, al fine rendere anonima la scultura.
Un’altra versione sostiene che i tedeschi sbagliarono la traduzione della lapide sulla tomba di Corradino e invece di leggere «dentro al piedistallo» compresero «dietro al piedistallo» e tanto che fecero che bucarono la parete retrostante per cercare invano le sue spoglie. Un sacro furto evitato.
Ancora oggi le spoglie del giovane ed eroico Corradino riposano dal 1268 nel piedistallo marmoreo del monumento funebre.
Una strada ed una traversa sono intitolati al principe di Svevia attorno a Piazza Mercato.

A circa ottocento anni dalla sua scomparsa, il ricordo indelebile dell’ultimo principe svevo, erede del Regno delle Due Sicilie di Federico II, giace nel cuore più antico di Napoli, la città che egli ha amato e difeso fino allo stremo dell sue forze, prima di morire in piazza. E’ stato il primo Masaniello nordico che con il nostro ha condiviso quasi lo stesso destino: il sogno di liberare Napoli dallo straniero, divenendo l’eroe e il simbolo della resistenza, tradito dai suoi alleati è stato ingiustamente decapitato, proprio in Piazza Mercato, dove con il vero Masaniello condivide pure il luogo di sepoltura nella Chiesa del Carmine.
Napoli ha accolto le sue spoglie con tanta devozione e dal 1268 Corradino non ha mai fatto ritorno in Patria. E’ tutt’ora cittadino napoletano.

Curiosità: pare che il detto popolare imprecante «Mannaggia ‘a culonn» sia stato coniato qui, in merito alla colonna espiatoria di Corradino ma altre versioni rammentano altre colonne presenti in città.

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