Passeggiando per il centro storico di Napoli con il naso all’insù è possibile ammirare i palazzi storici che costeggiano i vicoletti e fantasticare su un tempo ormai andato. Quali storie nasconderanno questi edifici che si ergono in tutto il loro splendore nel cuore di Napoli? Scopriamo insieme quella di Palazzo di Sangro.
Splendida Napoli: 5 punti panoramici per scoprire la cittàLa storia
Situato nei pressi di Piazza San Domenico Maggiore, fu costruito nel XVI secolo. Appartenuto a Carlo Gesualdo, principe di Venosa, è con la famiglia di Sangro che il palazzo vive il suo massimo splendore. Acquisito da Giovan Francesco Paolo di Sangro, principe di San Severo, il palazzo venne subito ristrutturato per mano di Giovanni Merliano da Nola. Nel 1590 la costruzione si arricchì di una cappella, adibita a luogo di sepoltura di famiglia. Fu però il figlio di Paolo, Alessandro di Sangro, vescovo di Benevento, ad inaugurare la Chiesa di Santa Maria della Pietà. Oggi conosciuta come Cappella Sansevero è diventata uno dei più famosi musei napoletani.
Nel 1621 il principe di San Severo Paolo di Sangro incaricò l’architetto Bartolomeo Picchiatti e lo scultore Vitale Finelli di occuparsi di alcuni rifacimenti che riguardavano prevalentemente la facciata. I lavori interessarono soprattutto il monumentale portale secentesco che arricchì la costruzione di stampo barocco: colonne bugnate, anelli in marmo e pipierno, campitelli compositi e in alto il frontone spezzato su cui in questa occasione viene scolpito in marmo lo stemma del casato.
I lavori più importanti furono realizzati nel XVIII secolo con il settimo e più discusso principe di San Severo: Raimondo di Sangro. Con il principe Raimondo il palazzo, non solo divenne teatro di studi ed esperimenti, ma subì una vera e propria trasformazione. Il processo di ammodernamento, da lui stesso ideato, prevedeva di risistemare gli interni, decorare le pareti e costruire un ponte con un grande orologio che mettesse in collegamento il palazzo con la cappella. L’atrio e le colonne si arricchirono dei bassorilievi di Gerardo Solifrano, la cappella di numerose sculture, tra cui quelle di Giuseppe Sammartino, gli interni degli affreschi di Belisario Corenzio. I lavori di ammodernamento furono così intensi e importanti che si protrassero addirittura dopo la morte del Principe Raimondo, con suo figlio Vincenzo.
Ancora oggi Palazzo di Sangro conserva tutto il suo fascino, legato alle vicende che lo hanno visto protagonista e alla fama del suo più chiacchierato proprietario. Uno scienziato illuminista, secondo molti legato alla massoneria, che ha tentato attraverso l’opera di ammodernamento di purificare le mura del palazzo, teatro di uno dei più efferati delitti della storia partenopea.
La leggenda del delitto
Sono molte le leggende che aleggiano intorno a Palazzo di Sangro. Quella che ha segnato per sempre il destino del palazzo, tanto da indurre il suo proprietario più famoso a cambiare volto alla struttura per darle nuova vita, risale al periodo precedente all’entrata della dinastia Di Sangro sulla scena. Il 18 ottobre 1590 Carlo Gesualdo, principe di Venosa, uccise sua moglie Maria D’Avalos e il suo amante, il duca D’Andria Fabrizio Carafa, avendo colto entrambi in flagranza di adulterio. Come se non bastasse, il duca di Venosa dopo essersi macchiato di questo aberrante delitto decise di esporre i corpi nudi, sanguinanti e privi di vita dei due amanti all’entrata del palazzo. A rendere ancora più sacrilega la situazione, si aggiunse l’oltraggio di un monaco. Quest’ultimo a notte fonda abusò del corpo inerme di Maria D’Avalos. Per evitare possibili ritorsioni vendicative da parte della famiglia Carafa, il duca di Venosa abbandonò per sempre Napoli. Tormentato dai sensi di colpi e vittima della paranoia uccise addirittura il suo figlioletto temendo fosse figlio dell’amante.
Ristrutturare per purificare
In un palazzo la cui fama era stata macchiata dalla brutalità di tale delitto entrarono i Di Sangro. Il principe Raimondo fu colui che più di tutti s’impegnò ad attuare una riqualificazione del palazzo, non solo a livello strutturale, ma anche per la reputazione del palazzo stesso, il cui nome veniva associato a quell’omicidio. Cambiandone la struttura, decorandone gli interni, arricchendolo di opere artistiche, il Principe Raimondo sperava di purificare lo spirito del palazzo, intorno cui si narrava ancora vagasse il fantasma irrequieto di Maria D’Avalos, provata e alla ricerca del suo amante.
Nel processo di riabilitazione del palazzo rientrò sicuramente anche la trasformazione dell’edicola in cappella, come simbolo di devozione a Dio, e la successiva costruzione del ponte che la collegava direttamente al palazzo. Tuttavia c’è da chiedersi se il Principe Raimondo sia riuscito nel suo intento dal momento che questo ponte crollò la notte del 28 settembre del 1889. Nel crollo andarono perduti molti degli affreschi del Belisario e il monumentale orologio che il principe aveva fortemente voluto. In realtà, il crollo fu dovuto ad infiltrazioni d’acqua. Tuttavia, lo stesso Benedetto Croce, parlando del palazzo, descrisse quell’episodio così: “è investito da quella leggenda diabolica e parve castigo del cielo il crollamento di gran parte di esso, che, annunziato lungo la notte da strani rumori, accadde una mattina del settembre del 1889”.
Il palazzo oggi
Palazzo di Sangro ospita oggi numerose iniziative ed eventi culturali e la Cappella San Severo è una delle più visitate di Napoli. Raimondo Di Sangro è diventato per i napoletani Il Principe. Il 30 gennaio 2010, in occasione del tricentenario della sua nascita, il Comune di Napoli ha fatto installare sulla facciata del palazzo un’epigrafe in memoria del suo genio: “In questo palazzo visse, operò, morì Raimondo De Sangro VII Principe di San Severo (1710-1771), letterato, mecenate, inventore nella Napoli dei primi lumi, ingegno straordinario, celebre indagatore dei più reconditi misteri della natura”. Sembra che l’immensa cultura e l’impareggiabile ingegno di questo personaggio siano alla fine riusciti nel loro intento: purificare l’immagine del palazzo per donargli nuova vita.

