Lo strano caso della morte di Giacomo Leopardi a Napoli

Arte e Cultura
Articolo di , 06 Apr 2015
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Giacomo Leopardi, sì, proprio lui, il poeta, trascorse gli ultimi anni della sua breve vita proprio a Napoli.

Ma fin qui è storia, e storia è anche la sua amicizia con Antonio Ranieri, napoletano conosciuto a Firenze nel 1831, e ancora storia è la notizia che nel 1833, assicuratosi un piccolo assegno dalla famiglia, decise di partire per Napoli insieme all’amico, sperando che il clima più mite potesse giovargli alla precaria salute. Il poeta di Recanati vive gli anni successivi insieme a Ranieri, ed alla sorella di lui, tra Napoli e Torre del Greco, a Villa Ferrigni (oggi Villa della Ginestra), di proprietà del cognato di Antonio. Lavora moltissimo, scrive senza sosta e proprio alle pendici del Vesuvio, a Torre del Greco, compone uno dei suoi ultimi canti, La Ginestra, appunto.

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Sembra che non conducesse una vita troppo sana, non esattamente un toccasana per la sua salute già malconcia: dormiva durante il giorno per comporre poi tutta la notte; si alzava nel tardo pomeriggio per pranzare, beveva moltissimi caffè ed era golosissimo di dolci.

Trascorrono così diversi anni, già nel febbraio del 1837, però, quando da Torre rientra a Napoli, la sua salute sembra sul punto di abbandonarlo, ma il suo corpo supera un altro inverno…

E fin qui nulla di strano… La vicenda inizia a diventare fumosa proprio l’ultimo giorno di vita di Giacomo. Di quel giorno, era il 14 giugno, abbiamo come testimonianza la versione di Antonio Ranieri… o meglio le testimonianze… si perché Ranieri cambiò versione sulla morte del poeta più e più volte…

La prima versione fu che Leopardi morì improvvisamente, tra le braccia di Ranieri stesso. L’amico fornì anche un dettagliato resoconto di quanto aveva mangiato quel giorno: circa un chilo e mezzo di confetti cannellini comprati da Paolina Ranieri in occasione dell’onomastico di Antonio, bevuto una cioccolata, mangiato una minestra calda e quindi una limonata, o piuttosto mangiato un gelato, verso sera.

Ed ora la causa, quella ufficiale, per intenderci, quella scritta sul certificato di morte: idropisia polmonare, verosimile, dati i suoi problemi respiratori.

Rapidamente fu organizzato il funerale e data sepoltura al poeta nella Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta.

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E questa è la storia di Ranieri, per molto tempo considerata attendibile, anche se lui stesso ne cambiava i particolari a seconda dell’interlocutore, generando già all’epoca non pochi dubbi su quanto fosse realmente accaduto.

In primo luogo si deve ragionare sul luogo della sepoltura. Nel 1837 a Napoli impazzava il colera ed era quasi impossibile seppellire morti e organizzare funerali, si finiva tutti nelle fosse comuni… eppure Ranieri vi riuscì, o almeno così raccontò.

Il mistero si infittisce quando nel 1900 la tomba di Leopardi, sì, quella di San Vitale, viene aperta per una ricognizione… e… sorpresa… dentro non c’è uno scheletro intero, ma due femori, poche ossa sparse e soprattutto nessun teschio…

Certo, si deve dire che solo due anni prima, nel 1898, la tomba, nel corso di lavori di restauro, fu danneggiata inavvertitamente da un muratore, lasciando disperdere buona parte dei resti… Ma che storia è questa? Perse le ossa del poeta? E il muratore, dove le avrebbe messe? Nel sacco della spazzatura?

A complicare la storia ci si mette anche il registro delle sepolture della Chiesa SS. Annunziata a Fonseca di Napoli in cui si dichiara che il corpo di Giacomo Leopardi finì nelle fosse comuni del cimitero delle Fontanelle come obbligavano le rigide prescrizioni dell’epoca per limitare il contagio. Ma anche dopo questa scoperta Ranieri continuò a sostenere la sua versione.

E poi le voci intorno alla causa della morte, pericardite, cibo avariato, indigestione, congestione e quella forse più probabile… il colera…

Nel 1939 la tomba, per voler di Benito Mussolini, fu poi spostata da San vitale nel Parco della tomba di Virgilio, alle spalle della chiesa di Piedigrotta, presso la stazione ferroviaria di Mergellina, dove è tutt’ora visitabile, con la sua lapide dettata all’epoca della morte dall’amico Pietro Giordani. In quell’occasione non si ritornò sulla questione delle ossa.

Ma le polemiche e le ricerche sulle intricate vicende della morte di Leopardi non hanno avuto sosta e nel 2004 venne anche chiesta la riesumazione per verificare se quelle nella tomba fossero realmente le ossa del poeta, confrontandone il DNA con quello degli attuali discendenti, ma l’autorizzazione fu negata.

Troppe ombre, troppi punti oscuri, troppi dati non più verificabili per la perdita degli archivi o per l’impossibilità di effettuare indagini più approfondite (come l’improbabile impresa di cercare le ossa nel cimitero delle Fontanelle, ad esempio) rendono impossibile esprimere giudizi definitivi sulle cause della morte e sulla sepoltura di Giacomo Leopardi. A questo punto, forse, sarebbe meglio non cercare più e considerare che in realtà Giacomo non è mai morto e non è mai stato sepolto, sì, perché egli vive ancora, come tutti i più grandi, nelle sue opere, nei suoi canti, nei suoi versi e a noi napoletani ricordarlo è più facile… basta volgere lo sguardo allo steminator Vesevo, così come lo definì lui stesso, e immaginarlo alla sua scrivania, magari nella Villa di Torre del Greco, che guarda quello stesso panorama e si lascia ispirare dalla stessa bellezza che ci emoziona oggi.

 

Tomba Leopardi NA-2004

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