L’Ovo che non è uovo al Castel dell’Ovo. Misteri napoletani
Castel dell'Ovo deve il suo nome alla leggenda dell'uovo che il poeta Virgilio Mago inserì nelle viscere della fortezza come amuleto a difesa della città.

Castel dell’Ovo deve il suo nome alla leggenda dell’uovo che il poeta Virgilio Mago inserì nelle viscere della fortezza come amuleto a difesa della città. Ipotesi suggeriscono che l’uovo non sia in realtà un uovo.
È nato prima l’uovo o il castello? Questo è il problema che spiegherebbe l’origine della leggenda napoletana da cui dipenderebbe la buona e la cattiva sorte della città.
Il fantasma di Giovanna I D'Angiò, la prima regina di NapoliLa leggenda dell’uovo
La leggenda tramandataci da secoli narra che un giorno, il vate poeta Virgilio, depose un uovo in una caraffa di vetro, racchiusa a sua volta in una gabbia di ferro finemente lavorata; infine sospese la brocca a una trave di legno di quercia, celando il tutto nelle fondamenta del Castel Marino come amuleto a difesa della città. La sua accidentale rottura avrebbe provocato piaghe e sciagure su Neapolis. Un uovo associato alla fatalità degli eventi: il palladio.
Quello che dapprima fu battezzato Castel Marino e successivamente parte integrante della Villa del patrizio Lucio Licino Lucullo «Castrum Lucullanum», venne chiamato Castel dell’Ovo.
Per volontà del poeta mantovano Virgilio, l’uovo doveva essere occultato alla vista di tutti, deposto in una cameretta con due finestrelle da cui penetrasse un solo filo di luce; custodito all’interno di un luogo protetto e sicuro munito di porte e serrature in ferro, tanto forti che nessuno poteva avvicinarsi, nè toccare, nè guardare l’uovo. Versioni contrastanti riferiscono che l’uovo era sì, custodito nella caraffa nelle viscere del castello, ma senza una reale protezione, murato semplicemente all’interno del maniero.
Una fonte storica datata 1194 cita che il cancelliere al servizio dell’Imperatore Arrigo VI, Corrado di Querfurl, inviò una lettera la suo amico vescovo di Hildesheim, dove racconta in maniera appassionante il suo viaggio a Napoli, descrivendo il popolo e le sue tradizioni, restando impressionato della leggenda dell’uovo di Virgilio. Egli riporta il racconto popolare: ovvero che Virgilio avesse inserito un modello in miniatura della città nel collo di una bottiglia, una specie di fiasco di cristallo: la caraffa. Questo a dimostrazione che davvero qualcosa Virgilio avesse celato nel castello, ma su cosa fosse, un uovo o altro non è stato dimostrato, ma è certo che doveva trattarsi di un amuleto contro la cattiva sorte; e se malauguratamente l’oggetto fosse stato distrutto ciò avrebbe significato la distruzione di Napoli e il suo sprofondamento negli abissi del mare.
In aiuto ci viene l’alchimia, dove simbolicamente l’uovo rappresenta l’uovo cosmico, il Macrocosmo e il Microcosmo, l’analogia del Kaos dove sono racchiusi tutti gli elementi dell’Universo che rimangono inespressi come il Sole interiore e l’unione del principio maschile e femminile.
È probabile che Virgilio avesse celato un messaggio simbolico più che un «uovo magico» in riferimento alla scuola alchemica napoletana. [fonte:http://www.martinrua.com/2011/08/la-leggenda-del-castello-delluovo.html]
La rottura dell’uovo
La notte del 26 luglio del 1370 accadde che il castello fu invaso da forti raffiche di libeccio che entravano dal Golfo. Questo spinse le onde ad ingigantire le loro dimensioni tanto da sfondare alcuni anfratti del castello e ad allagare le segrete. La terra tremò e l’ala occidentale della fortezza crollò in un clamoroso boato che si udì in tutta Napoli. Nello stesso istante un prigioniero riuscì ad evadere dalle carceri, Ambrogio Visconti, che, trovando la via fuga attraverso la stanza segreta di Virgilio (secondo ipotesi fantasiose o per giustificare la calamità) urtò la gabbia appesa al soffitto procurando la rottura dell’uovo.
Una grave calamità naturale si stava abbattendo su Napoli: dopo la prima tempesta ne arrivò subito un’altra che sembrava inghiottire il castello e la città.
Era questa la catastrofe annunciata?
L’angoscia dei napoletani fu talmente grande che la gente infuriata, chiese rassicurazioni alla regina Giovanna e questa per placare i loro animi li convinse del fatto che lei stessa aveva deposto un altro uovo fatale più bello e più magnifico dell’altro nella caraffa di vetro sottilmente lavorata e fece ricostruire il castello più forte di quello precedente.
Nove anni dopo, a seguito dei lavori di edificazioni del castello, fece porre sopra l’ingresso del maniero un’enigmatica iscrizione latina in marmo che sembrava deridere o assecondare la credenza popolare in un divertente scioglilingua:
“OVO MIRA NOVO SIC OVO NON TUBER OVO DORICA CASTRA CLUENS TUTOR TEMERARE TIMETO“ iscrizione della quale non si sa più nulla dal 1502.
Molti studiosi si sono cimentati sul significato letterario della citazione, ricavandone piccoli rompicapo senza alcun senso, suscitando molta curiosità e ardue traduzioni fantasiose.
L’ultima interpretazione appartiene al filologo Renato de Falco che, dopo aver applicato regole enigmistiche su alcuni punti mancanti, ha dato al mondo la sua lettura: «NOVO OVO NOVO; SIC, NON CLUENS TUBER, TUTOR OVO MIRA CASTRA DORICA. TIMETO TIMERARE» tradotto in «Plaudo al novello uovo; così, non cosiderandolo un tubero, difendo con l’uovo i mirabili castelli dorici. Temerai di violarli!.»
La frase così avrebbe un senso compiuto e suggerirebbe un terribile avvertimento ai nemici del regno, rivolto a coloro che sottovaluterebbero le potenzialità dell’uovo magico. Peccato che l‘iscrizione sia andata persa nel tempo e che non sia più visibile all’ingresso.
E ritornando al dubbio iniziale: l’uovo in Castel dell’Ovo è davvero un uovo ?

