Salone Margherita: il teatro di sogni e “sciantose”, simbolo della Belle Époque napoletana

A Napoli il Salone Margherita era cuore e simbolo della Belle Époque. Intellettuali, artisti, facoltosi si riunivano qui, la notte, per vivere un sogno. Tra le piume, i canti di voci soavi e i visi angelici delle “sciantose”, sotto volte altissime e con la sensazione che tutto fosse possibile.

Arte e Cultura
Articolo di , 07 Ago 2024
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Foto Pinterest

Costruito nel 1890 sul modello dei cabaret parigini (i café chantant), la Belle Époque napoletana ha visto la luce all’interno di un teatro sotterraneo, al centro della Galleria Umberto I, proprio sotto la cupola: è il Salone Margherita.

Il Salone Margherita era il teatro delle “sciantose”, anche questo un termine ripreso dal francese, le “chanteuse”, che nasce tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e che letteralmente si riferisce alle cantanti professioniste dei café chantant.

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Dive dei caffè-concerto, le sciantose a Napoli e le chanteuse a Parigi eseguivano brani di opere liriche e operette, assumendo in sé la figura di femme fatale. Fascinose, seducenti ma non impetuose, piuttosto angeliche, quasi irreali. Le si immagina tutte bellissime donne, e con il portamento perfetto per tenere la scena, in splendidi abiti e in penombra, a muoversi sotto le volte altissime del magico Salone Margherita.

Un’intuizione, la lingua francese e l’atmosfera del magico Salone Margherita

Sorto nel quartiere San Ferdinando, il Salone Margherita nacque grazie a un’intuizione dei fratelli Marino, imprenditori napoletani che cavalcarono il successo dei più popolari café chantant in terra francese, come il Moulin Rouge.

Perciò, nel progetto della nuova Galleria Umberto I, venne inserito anche il proposito di realizzare un teatro sotterraneo e sveglio di notte, proprio sotto la cupola della galleria, adibito a balli, canti, intrattenimento, feste e a quello svago luminoso proprio della Belle Époque.

Le porte aprirono per la prima volta al pubblico il 15 novembre 1890, e all’inaugurazione vi parteciparono i personaggi più influenti della società. Tra nobili, borghesi e uomini politici c’erano naturalmente anche i giornalisti come Matilde Serao, che mai si sarebbe persa un avvenimento del genere: la cerimonia di apertura di un locale che divenne simbolo di un’epoca, (non solo) a Napoli.

Il Salone Margherita fu così il primo café chantant di Napoli e il primo d’Italia a prevedere l’esibizione di ballerine di can-can, e aprì in un momento di profondo risanamento urbano riprendendo il nome della regina Margherita di Savoia, consorte del re Umberto I, a cui si dedicava intanto una Galleria Umberto I à la page, secondo le mode dei tempi, tra negozi vari e caffè.

Moulin Rouge tutto napoletano, al Salone si parlava – poi – francese tra camerieri e spettatori, lingua che si ritrovava su tutti gli incantevoli cartelloni pubblicitari, sui contratti degli artisti e sul menù, mentre ogni autore e interprete nostrano rendeva omaggio a divi parigini, ispirandosi nei nomi e nello charme.

Accessibili dopo aver attraversato corridoi con affreschi pompeiani, le tavole del palcoscenico del Salone vennero calcate, infine, da chansonnier e star internazionali, ballerine che arrivavano direttamente dalle Folies Bergère, e performer di ogni nazionalità, che incantavano il pubblico, sia maschile che femminile, con i loro abiti di scena, le movenze, lo spirito intrinseco di festa.

Gli spettatori, intanto, si sistemavano tra le nicchie e i soppalchi fatti di stucchi e marmi e, per due lire, potevano assistere agli spettacoli musicali dalla platea, che era sì più lontana ma offriva una gran selezione di cocktail. Il biglietto di ingresso del Salone comprendeva infatti sempre una consumazione, o almeno ai suoi inizi.

Fu così – in definitiva – che il Salone Margherita di Napoli divenne presto il cuore pulsante e luogo di ritrovo della nobiltà e dell’alta borghesia napoletana, di intellettuali, artisti, nobildonne, uomini politici e anche personaggi malavitosi, che lì vi ritrovavano amici, si innamoravano di una sciantosa, staccavano la mente e brindavano a quelle serate che sembravano irripetibili, ma che si ripetevano ogni volta, come una magia.

Quelle serate che parevano un sogno, destinato però a non durare per sempre, ma forse proprio per questo, ancora più luminoso.

 

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