Vomero: storia di una tardiva urbanizzazione

Il suo nome proviene da un gioco chiamato il vomere, che veniva fatto dai contadini di questa zona.

Arte e Cultura
Articolo di , 05 Mar 2016
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Il Vomero è una delle zone più caotiche della città di Napoli, ricca di scuole, banche, locali, esercizi commerciali di ogni genere. Oggi il Vomero si presenta come centro fondamentale, per le attività diurne e notturne della città. Ma non è sempre stato così. Ci sono voluti molti secoli, prima che il Vomero assumesse il ritratto attuale, basti pensare che  in passato era addirittura una zona prettamente rurale. Il suo nome proviene da un gioco chiamato il vomere, che veniva fatto dai contadini di questa zona. Tutto questo territorio  rurale  era rinomato  per la coltivazione dei  broccoli e per questo motivo ancora oggi in modo scherzoso si  tende a dare del “vruoccolo” a chi ha origini vomeresi.

A partire dal XVI secolo, grazie alla sua posizione geografica, isolata e posizionata su una collina, il Vomero  divenne ben presto abitato soprattutto dalle famiglie nobili napoletane e dal clero che costruirono qui le loro residenze di campagna, che utilizzavano per trascorrere qualche giorno in pieno relax e addirittura nel 1600, questa zona divenne un vero e proprio rifugio per scappare dalle pestilenze che colpirono la città. Nel 1800 il Vomero fu  promosso a rango di residenza non solo nobiliare ma anche reale con la costruzione della villa Floridiana da parte del re Ferdinando I di Borbone.

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Il Vomero quindi fino al XIX secolo costituiva  ancora una periferia disabitata e lontana dalla città, ma questa volta prediletta dalla nobiltà napoletana e quindi non più solo dai contadini.

 La fine di un isolamento

L’idea dell’espansione urbanistica del Vomero iniziò a partire dall’Unità d’Italia, e la prima pietra venne posta con la presenza dei reali piemontesi, il ministro Depretis e il sindaco Nicola Amore. Tale progetto prevedeva un’urbanizzazione molto vasta che comprendeva le zone di Via Scarlatti, via Bernini, Piazza Vanvitelli, le vie di Luca Giordano e via Morghen, dove furono costruite diverse villette a schiera costruite secondo un certo stile che ricordavano quelle piemontesi. Per i collegamenti tra la città bassa e il Vomero grande importanza ebbe la costruzione della funicolare di Chiaia e successivamente quella di Montesanto nel 1891 che permise maggiore interazione con le altre zone di Napoli.

È  proprio a partire da questa data che il Vomero abbandona la sua condizione di isolamento e inizia a interagire con il resto della città. La sua urbanizzazione continua per tutto il XX secolo e regala a questa zona un volto del tutto nuovo, non più distese di campi di broccoli, ma distese di strade asfaltate, abitazioni e luoghi di interesse per tutti i cittadini, che fanno del Vomero uno dei centri più ambiti della città di Napoli.

 

 

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3 risposte a “Vomero: storia di una tardiva urbanizzazione”

  1. MARIAPIA MIRABELLI ha detto:

    IL VOMERO ,DOVE SONO NATA,è PURE UN GRANDE QUARTIERE CHE HA DATO I NATALI A GRANDI ARTISTI:INIZIAMO IL PIù AUTOREVOLE MUROLO,SEGUE lUCIANO DE CRESCENZO,GLORIA
    CRISTIAN,HANNO ABITATO I FRATELLI GIUFFRé, ALIGHIERO NOSCHESE,FAUSTO CIGLIANO CI è NATO,ED IO HO UN CARO RICORDO DI QUESTO LUOGO CHE NEGLI ANNI SESSANTA ERA MOLTO VIVIBILE,IL CAOS è PRECIPITATO CON LA NUOVA METROPOLITANA CHE SCARICA ORDE BARBARICHE SPECIE DI SABATO E DOMENICA…PECCATO!!!!

  2. ottavio amodio ha detto:

    non dimentichiamo che il secondo conflitto mondiale riguardò direttamente il vomero per l’episodio delle quattro giornate di napoli che ebbe li’ il suo inizio e la sua fine.Infatti,quando si diffuse la notizia dello sbarco degliamericani un gruppo di uomini armati si diresse verso lo stadio littorio dove era il comando tedesco. Appresa la notizia,il comando tedesco si affrettò a rastrellare quanti più uomini potè. Nelfrattempo il movimento di resistenza cercò di darsi una organizzazione: il prof. Tarsia in Curia ne assunse, in nome del Fronte Unico Rivoluziorio, il comando politico, fissandone la sede nel liceo Sannazzaro; il capitano Vincenzo Stimolo ne assunse quello militare facendo disporre uomini armati sui lastrici dei palazzi soprattutto in prossimitàdello stadio. Una mitragliatrice fu recuperata dal brigadiere Pace il quale la istallò su un camioncino e mosse verso il comando tedesco. L’azione fu sospesa a causa dell’incalzare della pioggia finchè duesoldati tedeschi avanzarono agitando una bandiera bianca. Vennero concordate le condizioni di resa ma una colonna corrazzata tedesca tentò di rientrare al vomero e un gruppo di partigiani fece fuoco contro di loro e riusci’ a respingerli indietro. L’ultimo combattimento,quello decisivo, avvenne nella masseria Pezzalonga fra Via Case Puntellate e l’odierna Via Simone Martini dove quasi tuttii partigiani caddero e solo i rinforzi sopraggiunti più tardi riuscirono ad avere ragione dei nemici. Dopo questo glorioso episodio di storia cittadine e di quartiere allo stadio del Vomero fu attribuita la nuova denominazione di “””Stadio della Liberazione”””. Grazie

  3. ottavio amodio ha detto:

    Anno 1940 in un vecchio palazzo ncoppa ‘a nfrascata(immediatamente al confine del quartiere che è oggi il Vomero) nacqui e vissi fino al 1958. Zona popolare abitata da impiegati, piccoli professionisti artigiani di valore e una intensa attività commerciale fatta di piccoli negozi a gestione familiare. Come dimenticare Carmine il fruttivendolo che a mia nonna che ordinava frutta e verdura urlava “”signora Cervone acalate ‘o panaro””, come dimenticare “”i due vecchiarielli, piccoli commercianti dicaramelle e liquirizie, come dimenticare “”don Ciro ‘o ‘mpezzettà ( a mpezzettà era un gioco che si faceva con i fichi d’india: i frutti si mettevano in un secchio pieno di acquae si dovevano infilare lanciando dall’alto un cortello: chi riusciva a portate fuori dal secchio il frutto se lo poteva mangiare gratis. Quasi mai nessuno ci riusciva. D’estate don Ciro faceva “”le grattate””, specie di gelato che si faceva con uno speciale strumento grattando delle grandi forme dighiaccio. Come dimenticare il venditore di ricottelle che si metteva nell’intervallo delle lezioni fuori scuola e vendeva delle meravigliose panelle imbottite di ricotta. Come dimenticare “”la pizzeria volante””? Quasi ogni sera, verso l’imbrunire, da Antignano, scendeva un uomo in bicicletta con un grosso contenitore di metallo in bilico sulla testa gridando ad alta voce “”‘a volante, ‘a volante””. Nel contenitore c’erano pizze fritte.Come facese a mantenere in equilibrio sulla testa il contenitore non si è mai capito: era un vero e proprio equilibrista. Come dimenticare il mitico Padre Urbano che gestiva la piccola chiesetta quasi all’incrocio tra Salvator Rosa e Girolamo Santacroce. Era stato cappellano militare per tutta la vita e ora si godeva il meritato riposo, Organizzava di tutto pur di coinvolgere i ragazzi della strada e toglierli dalla strada. Era alto, allampanato, di età indefinibile (lui amava dire che aveva l’età del mondo): lo trovarono morto nella cameretta annessa alla piccola chiesa. Come dimenticare Giacomo “”il solachianiello che sembrava Totò nel film San Giovanni Decollato:puntine in bocca, sempre seduto davanti al suo piccolo bancariello a risuolare scarpe. Come dimenticare la portiera Concettina, vecchia prostituta poi redenta. Splendita persona sempre disponibile ad aiutare chiunque. Si viveva in simbiosi, ognuno partecipava alla vita degli altri: quando accadeva qualcosa,piacevole o spiacevole, la partecipazione era corale.Grazie

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