Una nostra fan romana, Valentina Prosperi, cantante e musicista, omaggia il nostro amato Pino Daniele dedicandogli una tesi di laurea dal titolo “Pino Daniele Nero a metà, la vocalità, il jazz napoletano e la nuova canzone napoletana, discussa presso il Conservatorio di Musica Santa Cecilia di Roma. Appassionata ammiratrice della nostra terra e della nostra musica ci racconta la sua meravigliosa esperienza in un’intervista.
Ti sei laureata in canto Jazz, perché la scelta di una tesi su Pino Daniele?
Un premio a Sorrento per "La stanza d'albergo più sexy del mondo"Ascoltavo Pino Daniele sin da piccola, poi crescendo sono andata a rispulciare i suoi vecchi successi che sono, poi, quelli a me più cari del suo repertorio. Avevo desiderio di fare un’analisi contemporanea per la tesi di laurea e quindi perché non approfondire qualcosa che amo veramente?
Cos’hai scoperto di particolare in questa tua ricerca?
Ho scoperto, innanzitutto, che Napoli è stata una capitale culturale, uno scenario importante nella storia della musica italiana e che si parla molto spesso di alcune scuole, nate negli anni ’60 e ’70, come la “Genovese”, la “romana”e la “milanese”e, forse, troppo poco della “scuola napoletana” che, invece, ha rivoluzionato la canzone italiana attraverso esponenti di rilievo: la “Nuova Compagnia di Canto Popolare”, Enzo Avitabile, James Senese, i fratelli Bennato, Mario Musella, Tony Esposito, Teresa De Sio, Alan e Jenny Sorrenti insomma gli attori il cosiddetto Naples Power. Già prima, ancor più poi con con lo sbarco degli americani, c’è stato un contatto forte tra il jazz e Napoli e, gli stessi americani si stupivano del fatto che i musicisti napoletani fossero molto capaci nella lettura immediata della musica e che, soprattutto, erano in grado di suonare la loro musica pur non conoscendola. Dal dopoguerra in poi, ci sono stati dei musicisti napoletani di altissimo livello, come ad esempio Carosone o Murolo che, viaggiando, hanno portato la loro visione da figli napoletani in tutto il mondo, cioè di una città carica di contaminazioni che si riflette inevitabilmente sulle melodie che hanno una liricità meravigliosa.
Ritornando ai tempi più recenti e al nostro beniamino?
La generazione di Pino Daniele era letteralmente bombardata di ascolto musicale. Lui stesso diceva di essere cresciuto con le canzoni di Merola, i dischi di Elvis, la voce di Caruso, il boogie woogie americano ecc., quindi gli input erano tanti, e quando ti trovi ad ascoltare tante cose diverse riesci a coglierne la bellezza e le varie sfumature. Infatti, la cosa che mi ha colpito molto è che spesso Pino Daniele parlava di una “Musica Cosmopolita”,il suo utilizzo dei ritmi sud-americani, dell’armonia afro-americana rispecchiava il fatto che lui voleva una Musica Universale, come se auspicasse ad un unico linguaggio.
Cosa pensi dei suoi testi?
Sono pura poesia, tratta tanti temi che vanno dalle origini, alla propria terra, la voglia di rivoluzione, di cambiare le cose, l’evoluzione, l’amore, temi ricorrenti e presenti nei testi di tanti cantanti della sua stessa epoca, ma lui aveva l’abilità di avere una comunicazione veramente molto diretta. Il dialetto poi, che ho definito come soleva far lui lingua napoletana, è molto duttile ritmicamente e si sposa perfettamentecon la ritmicità afro americana, molto più che l’italiano. E’ riuscito ad individuare nel linguaggio la vera chiave per trasmettere ciò che vuoi dire al mondo, e quando accade questo riesci ad arrivare in maniera diretta a tutti, dall’adolescente all’anziano.
Hai intervistato musicisti che hanno lavorato con Pino, cosa ti hanno raccontato?
Intervistare le persone che gli sono state vicine mi ha dato qualcosa in più. Ho parlato con Sergio Di Natale, Tony Esposito, Gianluca Podio Rino Zurzolo, Ernesto Vitolo, il quale mi diceva: “la sua musica è attuale da quarant’anni, dagli anni ’70 ad oggi”. Quante volte ci troviamo ad ascoltare una musica di “consumo”,ma quando riesci a stare davanti alle piazze per quarant’anni significa che hai da dire cose di spessore. Molti hanno anche dichiarato che nel loro percorso di vita hanno dovuto, purtroppo, lasciare Napoli, come se in qualche maniera la città gli desse molti stimoli culturali ma poca possibilità di crescita. Tanti dicevano che c’era una sorta di “emorragia culturale”. Sono state conversazioni illuminanti perché tutti avevano voglia di raccontare di Pino ed omaggiarlo, sia come persona che come artista.
Qualche aneddoto?
Rino Zurzolo mi parlava dell’ultimo concerto insieme, del loro modo di approcciarsi alla musica fatto di prove settimanali. Si può immaginare che musicisti di quel calibro passino poco tempo a provare, invece studiavano ore lo strumento, amando quel lavoro fatto anche di ricerca di una sola nota e mi diceva che tutta quella voglia di studiare poi nel live si sentiva. Mi citava che nel suo ultimo concerto ad un certo punto la voce di Pino s’incontra con il contrabbasso di Rino e sembra quasi un’incontro d’amore.
Adesso hai un gruppo “Pigro” che prende nome da una sua canzone.
Si, …resto..resto a letto mentre sento già l’odore del caffe ho tante cose da fare ma non mi importa niente. Pigro come un gatto e di piu… la formazione è partita come duo, poi un trio, un quartetto ed ora è una band che nasce come rivisitazione delle sue canzoni e sta lavorando tanto a Roma.
Ultima curiosità, ma Pino Daniele l’hai mai incontrato?
Si, una volta alla libreria Feltrinelli a Roma, sapevo che era una persona riservata, come poi sono anch’io, e gli dissi solo: “Pino, non so se ti fa piacere io suono spesso la tua musica” e lui:“Bene, bene e continua a suonarla!”