Napoli, il fotogiornalismo internazionale fa tappa nel capoluogo partenopeo

Il World Press Photo Exhibition lascia dietro di se un successo di critica e pubblico

Arte e Cultura
Articolo di , 15 Gen 2013
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Il World Press Photo Exhibition chiude i battenti. La kermesse internazionale, arrivata alla terza edizione termina così, lasciando dietro di se un successo di critica e pubblico. Ospitato nella suggestiva cornice del Complesso Monumentale di Santa Chiara, l’evento porta per la terza volta artisti di stampo internazionale nella città “ro’ sol”. L’impatto, entrando nel maestoso ingresso del complesso, è immediato. All’interno della sala, giustamente illuminata si respira l’arte di raccontare una realtà troppo spesso ignorata dalla stampa, nonché dalle televisioni di tutto il mondo.

Immagini, quelle che si snodano su pannelli sapientemente posti sui lati della stanza che, come spire di serpente, avvolgono lo spettatore, estasiato dinnanzi a questo tripudio di dolore e reale tragicità. Non si contano gli eventi narrati, dalle immagini dello Tsunami dell’11 marzo 2011 che sconvolse il Giappone Nord Orientale dello giapponese Yasyyoshi Chiba a quelle della presa di Bengasi con tanto di corpo di Gheddafi del fotografo Remi Ochlik. Scena, queste in cui la drammaticità dei momenti traspare dagli occhi della gente comune che, di queste immagini, è protagonista.

Bella Giocata, saluto a Sergio Five

Non mancano, poi vicende di padri di famiglia sieropositivi costretti a crescere i propri figli da soli, immagini degli interrogatori nelle carceri ucraine, crudamente riportate dagli scatti di Donald Weber. E mentre Jan Dogo rievoca la rivolta in Egitto in piazza Tahir, precisamente al Cairo, contro il presidente Mosmi Mubarak, immagini più soft di una natura a volte ostile a volte curiosa vengono immortalate nella grotta vietnamita di Hang Son Doong parco Nazionale di Phong Nha – Ke Bang dell’artista Peter Carsten e nell’arcipelago Novaja Zemlja della Russia di Jenny E. Ross.

Emozioni senza tempo che anche nello sport vengono cristallizzate. Ne sono un esempio l’incontro di Rugby dell’ All – Ireland League nella Divisione I A contro l’Old Belvedere di Ray McManus e le cruente tecniche di addestramento del kommando, di David Goldman. E mentre ci si muove tra una fissità di sguardi in cui, impresse a fuoco, vi sono emozioni di attimi senza tempo, ci s’imbatte alla fine di un percorso quello che, quest’anno, conduce al vincitore del World Press Photo, il portoghese Samuel Aranda.

Il suo scatto è stato giudicato da una giuria indipendente ed internazionale il migliore del 2011. Una mamma yemenita che in una mossa michelangiolesca, stringe nel nero del suo abito suo figlio diciottenne, intossicato dai gas lacrimogeni. Volti non visibili, ma dei corpi che parlano e che rinviano a delle movenze molto simili e tragicamente belle: quelle della pietà di Michelangelo. Un capolavoro senza tempo, come queste sequenze, dove la notizia non è il grande scoop, ma la vita reale. Quella che non può essere manomessa.

Maria Anna Filosa

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