Scrivi Napoli e leggi Musica. Il binomio funziona perchè fa leva su una consolidata tradizione che potrebbe datarsi nella seconda metà dell’800, in uno scenario magico, popolare e poetico dove dialogano poeti e cantanti, avanspettacolo e lirica, ufficiali e sciantose.
I vecchi “sposalizi” dove si esibivano le voci nuove sopravvivono senza alcun timore reverenziale per i moderni mezzi di comunicazione. Da Viviani ai neomelodici (due piani artistici accomunati esclusivamente dall’uso dialettale della lingua, non certo dalla capacità espressiva) le cose non sono granchè cambiate. E sopravvive nella memoria di qualche fuoriuscito delle varie Little Italy d’oltreoceano tutta la poesia di tre vecchietti che vantano la propria esperienza di pionieri nel mondo della discografia: fa sinceramente piacere che Turturro (nel documentario musicale Passion) si sia soffermato su questi tre attempati tycoon del disco. Forse bastano le loro chiacchiere, i toni di sfida o di orgoglio, le presunte scoperte di Caruso o Murolo da parte di uno, immediatamente sconfessato dall’altro che ne rivendica la paternità , a mostrare il tessuto culturale sul quale Napoli e Musica ricamano il secolare sodalizio.
Sarebbe però sconveniente nonchè abusivo soffermarsi esclusivamente sulla produzione melodica partenopea (che oggi viene magistralmente interpretata da voci come quella di Peppe Servillo). Di certo il rock, la giovane voce vibrante ribellione, è nato altrove ma ha avuto seguiti anche a sud del Garigliano con la pluridecennale esperienza di Eduardo Bennato e delle sue canzonette. Inoltre i dissapori e le stonature sociali e culturali della città hanno saputo cullare voglie di riscatto e aspirazioni al successo, stilisticamente modulate nella forma del blues triste e al contempo arrabbiato di artisti della fama di Pino Daniele. E se l’argomento è il blues ed il luogo Napoli, non si può dribblare con maradoniana fantasia l’energica e lamentosa tromba di James Senese, cuore nero dall’accento napoletano. E con lui andrebbero menzionati Pino Daniele, De Piscopo, Joe Amoruso, Eduardo De Crescenzo, Neffa, La famiglia.
E la Napoli delle posse? Quella underground o quella dub che sotto la coppola strizza l’occhio a Robert del Naja (Massive Attack), quest’ultimo in qualche modo coinvolto o contaminato dai flussi musicali della città . 99 posse, Rais e Almamegretta contribuiscono oggi a rinnovare i contributi artistici e musicali che tengono le falde vesuviane collegate alla placca europea e globale, non attraverso l’iphone o le varie “modernerie” a cui siamo assuefatti, ma grazie all’aderenza allo Zeitgeist che, forte di una certa “estetica del brutto”, concede spazio a narrazioni musicali dai contenuti amari e maldigeribili, dai personaggi avviliti e marginalizzati. Si fa così largo al tema popolare e tradizionale delle ballate o delle canzonette di quartiere che dal vicolo saltano sugli schermi di MTV (Sanacore, Nun te scurdà) seguendo o precedendo With or without you e Bohemian Rapsody.
Napoli ieri, Napoli oggi, Musica sempre.
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Io daterei questo binomio molto più indietro se è vero come è vero che già l’imperatore Nerone, che come è noto amava cantare, volle esibirsi proprio a Napoli perché riteneva i napoletani un uditorio più competente di quello romano.