La Repubblica Napoletana: quando Napoli decise di proclamarsi libera
Da non confondere con quella post rivoluzione di Masaniello, la Repubblica napoletana del 1799 fu un'esperienza rivoluzionaria unica nel suo genere.

Il 22 Gennaio del 1799 a Napoli fu istituita la seconda Repubblica Napoletana (sicché la prima si istituì dopo la rivoluzione di Masaniello del 1647).
Le due rivoluzioni – a metà tra sommosse e tumulti, dal momento che hanno cambiato le cose, ma per pochissimo tempo – che hanno portato alle due diverse repubbliche, si differenziano in moltissimi aspetti.
In primo luogo la rivoluzione del 1647 fu un’insurrezione popolare, in cui l’intera città decise di seguire Masaniello e combattere contro i vicereali spagnoli e la loro imposizione fiscale. La Repubblica napoletana del 1799, invece, fu di ispirazione principalmente intellettuale, da parte di ceti colti e ricchi.
Sul' 'a morte 'nzerra 'a porta, un modo di dire napoletano speranzosoDi ispirazione squisitamente giacobina e sulla falsariga di quel poco che era accaduto pochi anni prima in Francia, i circoli più illuminati di Napoli, diedero inizio alla lotta contro i Borbone.
Ma il popolo, forse memore di com’era andata la prima volta, oppure probabilmente sentendosi troppo distante dagli ideali propugnati dagli intellettuali napoletani, non aderì mai veramente all’esperienza rivoluzionaria, rimanendo tiepido o addirittura fedele al regime borbonico.
In secondo luogo, a differenza della prima rivoluzione nata in seno al malcontento popolare napoletano, la seconda era molto, forse troppo, “imparentata” con le istituzioni francesi, che la regolarono e la ammansirono, limitandone libertà e spontaneità.
Gli intellettuali che parteciparono all’insurrezione
A sorreggere l’insurrezione, vi erano gli intellettuali più noti e importanti del tempo:
- Eleonora Pimentel Fonseca, cui oggi è giustamente dedicato uno dei licei più importanti di Napoli, sito in Piazza del Gesù. Lei fu la bibliotecaria personale della Regina Carolina, direttrice e redattrice del primo giornale napoletano periodico, il Monitore Napoletano. Per il suo coinvolgimento nella Rivoluzione Partenopea, i Borbone la condannarono morte per tradimento e la impiccarono.
- Mario Pagano, noto anche come “Il Platone di Napoli”, giurista, filosofo, drammaturgo, politico napoletano. Esponente di spicco dell’illuminismo partenopeo ed, insieme ad Enrico Pessina, iniziatore della scuola storica napoletana di diritto.
Nominato dal generale francese Jean-Étienne Championnet fra coloro i quali avrebbero dovuto presiedere il governo della neonata Repubblica, vide anch’egli la morte per impiccagione. - Vincenzo Russo, il giovane aristocratico Gennaro Serra di Cassano, il medico e biologico Domenico Cirillo, il giornalista Francesco Saverio Salfi, la nobildonna Luisa Sanfelice.
Nella cultura letteraria e cinematografica
L’esperienza rivoluzionaria ,come già si ha avuto modo di intendere, non finì purtroppo benissimo.
Essa non fu dimenticata in fretta però. Anzi, diede origine a moltissimi romanzi, alcuni fra i quali sono diventati dei veri e propri classici. Il primo è “Il resto di niente” di Enzo Striano, concentrato soprattutto sulla storia di Eleonora Pimentel Fonseca. Un altro è “La San Felice” scritto da Alexandre Dumas, il quale scrisse molto su Napoli, come ne testimonia la descrizione pervenutaci di Napoli e del Borgo di Sant’Antonio Abate. Il romanzo storico ha come protagonista la nobildonna Luisa Sanfelice, sulla quale sono state incentrate alcune produzioni televisive e cinematografiche: due miniserie televisive (una del 1966 ed una del 2004 rispettivamente ad opera di Leonardo Cortese e Paolo e Vittorio Taviani) ed un film del 1942 ad opera di Leo Menardi.
La capitolazione
L’esperienza giacobina partenopea terminò ufficialmente il 13 Giugno 1799, durata poco meno di sei mesi. Le cause furono probabilmente la scarsa partecipazione popolare e il controllo da parte delle istituzioni francesi della rivolta.
La battaglia contro l’assedio degli spagnoli avvenne nel Forte di Vigliena, a San Giovanni a Teduccio, ma i rivoluzionari capitolarono sotto i colpi delle truppe sanfediste capitanata dal cardinale Ruffo. A seguire, tutti gli altri forti della città, Castel dell’Ovo, Castel Nuovo e Castel Sant’Elmo diedero bandiera bianca.
L’esperienza rivoluzionaria giunse al termine, lasciando spazio alla feroce rappresaglia dei vicereali spagnoli.
Il popolo
Come detto, il popolo non aderì mai davvero alla rivolta. I lazzari continuarono a dare manforte al Regno Borbonico. La differenza di classe fra popolani e rivoluzionari fu un elemento di principale importanza che segnò il fallimento della Repubblica Napoletana e a testimonianza di ciò, il popolo coniò un proverbio che riassume in poche parole questo concetto,
Il popolo considerava fin troppo benestanti questi rivoltosi ed infatti molti lo erano. L’espressione dunque era canzonatoria, quasi a prendere in giro chi aveva tutto e aveva pure da protestare e lamentarsi:
“chi tene o ppane e vvino, sicuro è ggiacubbino“.

