La Fontana degli Incanti o di Cöccövàja

Arte e Cultura
Articolo di , 23 Lug 2016
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«E tutte le fontane di Napoli sono lagrime …»
Matilde Serao tratto da La Leggenda dell’Amore

Oggi andiamo sulle tracce storiche di una delle tante fontane dimenticate che adornano il cuore di Napoli, e in particolare, ci soffermeremo su un’affascinante leggenda quella che riguarda molto da vicino la Fontana degli Incanti detta anche di Cöccövàja, che sorge precisa sulla collina di Posillipo e sembra quasi riversare le sue «lagrime» nell’immenso Golfo di Napoli. Perché piange? Piange perché versa in uno stato di abbandono, eppure se potesse parlare vi racconterebbe una storia interessante che mescola verità e leggenda, folclore e magia.

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In origine la sua collocazione era ubicata in Piazza di Porto, oggi chiamata Piazza Bovio e durante l’inaugurazione dei lavori del Risanamento del 1889, la fontana fu smontata e ricollocata nella sua sede attuale in Piazza Salvatore di Giacomo a Posillipo. Come mai? Infatti lo storico avvenimento è ricordato con una lapide posta proprio in Piazza Bovio, in presenza del re e dalla regina della dinastia Savoia.

La Fontana degli Incanti o di Cöccövàja fu costruita per volere del viceré Don Pedro Alvarez de Toledo che avviò i lavori nel XVI secolo ed espresse il desiderio di voler un monumento idrico per esigenze degli abitanti in loco e per le forniture delle navi, utile per gli approvvigionamenti di acqua per gli imbarchi.
L’incarico di erigere la monumentale fontana fu affidato al disegno dello scultore e architetto Giovanni Merliano da Nola, un’artista molto prolifico che operò su Napoli per tutto il XVI secolo, dando vita ad importanti capolavori dell’arte italiana tra monumenti funebri, palazzi e fontane nobiliari.
Alla realizzazione dei lavori, collaborò successivamente lo scultore Annibale Caccavello che aggiunge al gruppo scultoreo che fu danneggiato negli anni, anche la statua di Venere.

Infatti in un documento dell’epoca redatta da una deliberazione del Tribunale della Fortificazione Mattonata e Acqua del 1567, si legge che Caccavello fu pagato per per tutte le spese che la Fontana degli Incanti comportava. Questo Tribunale istituito con a capo i Deputati (5 nobili e 3 del popolo) si divideva in due corpi con diverse funzioni: il primo quello delle Fortificazioni si occupava della manutenzione della mura, mentre quello dell’Acqua e Mattonata sovrintendeva il corretto funzionamento delle fontane, dei pozzi, della pavimentazione delle strade e della pulizia dei canali di scolo. Un bel lavoro efficiente.

La Fontana degli Incanti subì molte modifiche e rifacimenti nel corso dei secoli, perdendo il suo vero volto. L’episodio chiave la vide coinvolta nel 1647, quando il monumento fu danneggiato gravemente durante i moti insurrezionali di Masaniello, quando la fontana era ubicata in Piazza Bovio.
Il suo restauro fu necessario e intervenne per l’occasione il vicerè Giovanni D’Austria, figlio illegittimo di Filippo IV che consultò il Tribunale della Fortificazione e nel 1649 avendo appurato l’urgenza del caso, mise mano ai lavori di restauro designando all’esecuzione in un primo momento Donato Russo, Francesco Castellano, Antonio Iodice con la super visione di Francesco Antonio Picchiatti. Fu riparata più volte nel corso del XVIII secolo omettendo fregi e decori troppi vistosi, ma lasciando spazio al disegno originale com’era nel Seicento.
L’ultimo tocco fu per mano dell’architetto Pietro Bianchi (celebre autore della Basilica San Francesco di Paola in Piazza Plebiscito) nel 1834 che la ricostruì daccapo e ne modificò il suo profilo seicentesco.
Nel 1889 in occasione dei lavori del Risanamento, ovvero il grande intervento urbanistico che mutò il volto del centro storico di Napoli, la Fontana degli Incanti venne smontata e ubicata dove è attualmente in Piazza Salvatore di Giacomo a Posillipo.

L’aspetto attuale: la fontana che riversa in un forte stato di degrado e del tutto irriconoscibile, si erge su un piedistallo a croce dove un tempo il Bianchi aveva sistemato 4 Leoni accovacciati in marmo (che furono portati in qualche deposito comunale) su cui si innalza il basamento ottagonale slanciato da una massiccia colonna, un notevole capitello floreale dove fuori uscivano i getti d’acqua; al di sopra si apre la tazza che prorompeva con i suoi zampilli. Attualmente un muretto circolare (impiegato come panchina) leva respiro al monumento, che sembra «proteggerla» dai continui attacchi dei vandali che tentano di sfregiarla in ogni modo; questo scempio restituisce alla città un’immagine davvero triste e offende la ricca storia della fontana, la cui funzione originale, ormai del tutto persa, ha ceduto il posto ad un orinatoio per uso pubblico all’aperto.
Ora del tutto dimenticata dalla stessa cittadinanza, la fontana come la piazza, chiedono di essere recuperate e valorizzate attraverso l’impegno civile e sociale di chi ne chiede l’attenzione, magari puntando su un bel progetto che possa ripulire il nobile cuore di Posillipo e ridare dignità alla Fontana degli Incanti.

Perché fu detta degli Incanti o di Cöccövàja ?

Qui si abbandona la storia e inizia la leggenda. Partendo dalle origini della costruzione nel XVI secolo e ultimata nel 1541, il disegno a quanto pare bellissimo, prevedeva una base a vasca quadrangolare con al centro un vistoso monte roccioso con l’apertura di quattro nicchie nelle quali erano situate un gruppo scultoreo di divinità giacenti e al vertice di una vasca marmorea, era collocata un’aquila recante gli stemmi e le armi di Carlo V.
Il simbolo dell’aquila sinonimo di potenza era l’emblema della famiglia reale che il popolo scambiò in bene e male in una civetta, da cui «cocovaja» dalla forma latina che significa appunto civetta, per la quale questa singolare fontana fu chiamata. 

La leggenda popolare vuole che fu chiamata degli «incanti» a causa dei sortilegi che una potente fattucchiera operava con l’acqua della fontana.
Secondo le fonti storiche riferite da Felice De Filippis, la fontana della Cöccövàja era posseduta da una leggenda sinistra: si narra di una strega-fattucchiera che operava i suoi sortilegi con l’acqua della fonte (che doveva essere molto pura per l’epoca) e procurava incantesimi a chi gli e ne chiedesse. Un giorno si recò da lei un nobile spagnuolo che si era perdutamente innamorato di una giovane fanciulla napoletana di nome Barbara; voleva a tutti i costi farla cedere alle sue voglie e per questo aveva chiesto un incantesimo.
Alla ragazza, le fu dato appuntamento dal nobiluomo che le fece bere un intruglio; ma al posto di favorire la vampa dell’amore, la pozione (velenosa) le procurò la morte fatale.
Il nobile spagnuolo disperato fu raggirato dalla fattucchiera e perse anche la giovane spasimante.

L’altra versione maggiormente accreditata da Benedetto Croce, in relazione al suo nome «Incanti» deriverebbe dagli «incantatori» ovvero i venditori di robe vecchie e nuove che mercanteggiavano la loro mercanzia nei pressi della fontana, incantando il pubblico. Questa pratica da «mercato» era vietato da un decreto reale in quanto procurava risse e tumulti in piazza e oltraggiava la merce pregiata dei bottegai.

Curiosità: un episodio legato alla fontana degli Incanti era quello che riguardava la tradizionale Festa di San Giovanni a Mare, dove per l’occasione le statue (divinità elleniche molto belle) venivano vestite a festa e abbellite con dei colorati «panni» al fine di coinvolgerle nella solennità sacro-profana, restituendo un’immagine davvero molto curiosa.
Per la serie: non c’è mai fine alla fantasia del popolo napoletano…

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Una risposta a “La Fontana degli Incanti o di Cöccövàja”

  1. Giulio ha detto:

    Articolo interessante complimenti per l’accuratezza delle informazioni.Essendo un docente di storia ho sempre molto da imparare dalla mia città, Napoli.

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