Castel Capuano: un castello antichissimo ed il fantasma della terribile Giuditta

Castel Capuano è uno dei castelli più antichi di Napoli e, come tutti i castelli che si rispettino, ha il suo fantasma: la terribile Giuditta.

Arte e Cultura
Articolo di , 30 Lug 2024
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Foto Wikimedia Commons

Pochi sanno che uno dei castelli più antichi di Napoli è l’ex sede del Tribunale nonché attuale sede operativa della Scuola Superiore della Magistratura: Castel Capuano. Come molti edifici storici, ha il suo bel fantasma ad animarne i corridoi.

Storia e leggende di Castel Capuano a Napoli

Il fantasma in questione, racconta la tradizione popolare, sarebbe quello di Giuditta Guastamacchia, personcina non proprio innocente. Ma non anticipiamo i fatti. Sì, perchè la storia di Giuditta e del suo amore proibito è solo una vicenda piuttosto recente dell’annosa storia del Castello.

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Partiamo quindi dall’inizio e cerchiamo di capire perché il fantasma di Giuditta si aggiri proprio in questi paraggi.

La fortezza fu voluta da re Guglielmo I il Malo, figlio di Ruggiero, per difendere Porta Capuana, da cui prese appunto il nome. Nel 1231 Federico II di Svevia lo trasformò in una vera e propria dimora regale e tale rimase anche sotto gli angioini, sebbene la corte avesse scelto Castel Nuovo come sua dimora. Castel Capuano, tuttavia, continuò ad ospitare personaggi illustri come Francesco Petrarca. Fu poi a partire dal 1540 con l’inizo dell’epoca vicerale che vi fu allestito il Palazzo di Giustizia e i suoi sotterranei furono trasformati in prigione.

Castel Capuano e il fantasma di Giuditta

E fu proprio come sede del tribunale che per i suoi corridoi passarono storie tragiche e non sempre chiarissime, come appunto quella della nostra Giuditta. Siamo ormai lontani dei fasti del castello come dimora reale, siamo negli anni della Rivoluzione Napoletana, e Giuditta, per quanto accadde, fu considerata all’epoca donna spregiudicata e crudele.

Eppure, all’origine della sua vicenda c’è una grande storia d’amore proibito: si era innamorata di un sacerdote. Il padre di lei per mettere a tacere la torbida tresca, la costrinse prima a sposare a forza un giovane che morirà lontano dal regno dopo essere stato costretto alla fuga per una frode e quindi la rinchiuse nel monastero di Sant’Antonio alla Vicaria.

Quando la tenace Giuditta uscì dal convento, dopo svariati anni, il suo amore non era certo affievolito, nè tantomeno quello del suo proibito amante, e decise così di andare a vivere a casa di lui, che per evitare le malelingue la fece sposare un suo giovanissimo nipote. Ma il giovane non accettò mai la situazione e minacciando di denunciare la tresca proibita andò incontro a morte sicura. Certo, perchè Giuditta, per evitare di essere scoperta, iniziò a diffondere la voce di essere stata derubata e malmetata dal giovane sposo. Il padre, dunque, venendo in soccorso alla figlia cedette alle richieste di lei di ucciderlo. Il cadavere fu fatto a pezzi, smembrato e martoriato, per non essere riconosciuto. Il padre ed un suo complice trasportavano i macabri resti del corpo, ma furono scoperti dalla guardia reale. Il tutto venne alla luce con tutti i suoi cuenti e sordidi particolari e dopo un sommario processo furono tutti condannati a morte, eccetto il sacerdote.

All’alba del nuovo secolo, nell’aprile del 1800, Giuditta fu impiccata, e le furono amputate la testa e le mani, che furono esposte poi sulle mura della Vicaria.

Da allora si dice che il 19 Aprile, ogni anno, il suo fantasma si aggiri per le stanze dell’antichissimo castello in cui fu processata.

Ma se vorrete sfidare il fantasma di Giuditta, allora dietro le possenti mura del Castello scoprirete un incredibile palazzo con una serie di sale di grande pregio riccamente affrescate come il Salone della Corte d’Appello, la sala dei Busti, che raccoglie oggi i busti degli avvocati più famosi del foro, ma che in origine ospitava le udienze della Camera della Sommaria. Di  grandissimo interesse è poi la biblioteca che ha sede nella sala che fu del Gran Consiglio al tempo degli Angioini, e quindi in età borbonica sala di udienza della Gran Corte Criminale.

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